Di sicuro la botta è più difficile da assorbire per chi ha voluto o ben accolto Montezemolo alla guida della Fiera. Scomparso all’improvviso dalla piazza Antonio La Forgia, che da presidente della Regione fece per lui un’aspra battaglia dentro e contro il suo stesso partito di allora, i Ds. Prudentissimo il suo successore Vasco Errani: «Non ne so nulla, vedremo». «Non dico nulla fino al 13 maggio», gli fa eco l’assessore all’economia Duccio Campagnoli. E il segretario regionale della Quercia Mauro Zani sembra dubitare della fondatezza dell’annuncio dato da Berlusconi: «Terrei a conoscere il parere sulla questione dello stesso Montezemolo. Dopo avrete il mio commento a stretto giro di posta». «Se è così», anticipa il capogruppo Ds in Regione Lino Zanichelli, «è evidente che il suo nuovo ruolo sarà incompatibile con la presidenza della Fiera». Sull’altro fronte, c’è invece chi gioisce: «Conosco e apprezzo Montezemolo», fa sapere il vicesindaco Giovanni Salizzoni, «e l’annuncio di Berlusconi mi pare il segnale di una vittoria certa».
Comincia con tremila sedie bagnate e finisce con tremila sedie occupate. La festa in piazza dell’Ulivo scavalca in poche ora diverse paure, inghiotte qualche rospo (l’annuncio di Luca di Montezemolo possibile ministro di Berlusconi), ma non scaccia la paura di ingoiare, domenica prossima, il grande rospo della vittoria del centrodestra. «Può perdere» afferma con de punti esclamativi l’adesivo che la neonata aggressiva Radio Fujiko regala, assieme a «un libro vero», a tutti quelli che si presentano al loro banchetto per rottamare il libro fotografico del Cavaliere. E «possiamo vincere» ti rispondono tutti, con slancio, ma senza che la loro convinzione superi la barriera che separa la speranza dalla fiducia.
Alle sette di sera c’era da battere, per il momento, la pioggia. Occhi in su a spiare le perturbazioni, «passa, tira di là». Gocce insistenti. «Alle sette e mezza si mangia», gridano dai due ristorantini improvvisati ai bordi della piazza. Vice l’ottimismo: alle sette e mezzo, previa passata di straccio, le tavolate allineate sul crescentone sono asciutte, o quasi. Facsimili di schede elettorali usate come tovagliette o coprisedili. Piatti di carta fumanti: polenta ragù e salciccia, piatto unico, compreso il cartoncino di vino fa diecimila lire. «Dieci sacchi?», insorge un cliente. «Compagno, potrebbe essere l’ultima volta», e quello paga.
L’immagine è quella di una festa dell’Unità di una volta, dell’epoca pretovaglie. Piazza Maggiore come un’aia apparecchiata per una bandiga. Palloncini, bandiere (dell’Ulivo, della Quercia, della Margherita, del Girasole: tutto l’orto del centrosinistra sventola), distribuite a mazzi, perché «il colpo d’occhio ci dev’essere». È sempre Piazza Maggiore questa, anche se governa Guazzaloca (che per qualche minuto si materializza proprio lì, seduto a un tavolino del caffè) questa resta la piazza dei trionfi della sinistra, in fondo sono passati solo cinque anni da quella sera d’aprile in cui un professore di Bologna, Romano Prodi, dedicò la sua vittoria «alla mia città». Qualcuno dice che Prodi verrà anche stasera, sul palco, a dar man forte a Piero Fassino, il vice di Rutelli. Arriva, assieme alla moglie Flavia, ma a comizio ormai finito, e piazza quasi svuotata, solo per un saluto e un bicchiere al caffè sotto il portico. Cinque anni, che eternità.
«Stavolta mi sa che….», «Zia non lo dire! Porta male!». Almeno l’ex mondina di Bentivoglio ha fatto qualcosa di sinistra, si è portata dietro la nipotina, coltiva le nuove generazioni. «Non lo dico, ma mi sa che…». Una signora in giacca rossa è ancora indignata per aver sfiorato, in piazza Re Enzo, un gazebo di An, scambiandolo per uno dell’Ulivo: «Io che ho avuto sei morti in famiglia, per colpa dei fasciti…Vedere quelli lì col golfino firmato…». Pensare che possono vincere… «Io non o penso». Veramente? «Be’, quando lei è malato pensa di morire?».
Davanti a Palazzo D’Accursio l’Ulivo si dispone in formazione a losanga, avanti il tavolino dei Ds, poi Girasole affiancato a Comunisti Italiani, chiude la Margherita. Volantini gratuiti e gadget a pagamento, mille la spilla, duemila la biro, cinquemila il (chissà perché) portafogli.
Dal palco, rock metallico per una platea che, fortunatamente, non è tutta tutta di pensionati. Ma è la Village Street Band a scaldare il cuore intergenerazionale con un po’ di Glenn Miller e di Duke Ellington, finché non salta su, sorpresa annunciata, il leader Andrea Mingardi. Inevitabile: «Cum vèla?», «Benèssum!», risponde la piazza, chi conosce il testo della canzone sa che non è proprio un augurio di vittoria. Ma Mingardi ispira ottimismo, «qui in questa piazza che è una fetta della nostra vita» fa quel che voleva fare, tira su il morale, in modo che, quando come a Sanremo grida «e adesso vi presento… Piero Fassino!», l’applauso che parte è di buona temperatura, sincero.
Poi tocca al candidato vicepremier fare il resto. Ce la mette tutta: manca solo «l’ultima spallata» alla «vittoria possibile», «la partita è del tutto aperta»; invoca il «voto utile», rievoca i successi dei governi ulivisti. Riceve applausi, anche entusiasmo. Dietro di lui, schierati, tutti i candidati ulivisti dei collegi bolognesi, con le facce più convincenti che possono. La serata finisce sulle note dell’inno di Mameli, senza ulteriori rovesci. Quanto a domenica prossima, bisognerà vedere se il vento «tira di là o di qua».