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1 Aprile 2007

Lo strappo di Parisi: “I congressi? Illegali”

Autore: Amedeo La Mattina
Fonte: La Stampa

La strada verso il Partito
Democratico è piena di buche, incroci pericolosi, di passeggeri che scendono alla
penultima fermata per andare a sinistra, di nomenclature di partito che pensano
a come dividersi i posti in prima fila sulla tolda di comando. Una strada
affollata da molti maldipancia, da enormi dubbi – spesso certezze – su cosa
produrrà la fusione fredda tra apparati e tessere dei Ds e della Margherita.
«Nulla di buono», dice senza giri di parole l’ulivista doc Franco Monaco che
esprime le preoccupazioni di Arturo Parisi. E non solo quelle del ministro
della Difesa. C’è anche Walter Veltroni a vedere il rischio di un nuovo
soggetto che nasce già vecchio, chiuso dentro il perimetro dei clan, che non
supera le appartenenze politiche del 900. La scena che Parisi e Veltroni
osservano è quella dei congressi locali dei loro rispettivi partiti.
Tesseramenti gonfiati, lotte tra correnti e perfino dentro le stesse componenti
(le mosse di D’Alema su Fassino), commissariamenti di leader (le manovre dei
Popolari rispetto a Rutelli). Posta in gioco: chi dovrà guidare la fase
costituente del Partito Democratico. Appunto.

 

Veltroni quello che pensa lo è
andato a dire al congresso romano della Quercia. «Il Pd che vogliamo fare per
prima cosa deve corrispondere al suo aggettivo, deve essere davvero democratico
e non la somma di due gruppi dirigenti che si mettono insieme magari già divisi
al loro interno, magari già attraversati al loro interno da quel rischio che io
vedo anche in casa nostra, e cioè dalla costruzione di piccoli gruppi, piccoli
poteri che si organizzano». Parisi invece quello che pensa non va a dirlo nemmeno
ai congressi della Margherita: ha scelto polemicamente di non partecipare a
nessuna delle assise regionali. A un giornalista dell’Ansa che lo incrocia in
una strada del centro di Roma spiega: «Il modo in cui si stanno svolgendo i
congressi scoraggiano la partecipazione di chiunque abbia un qualche interesse
alla politica. Assistiamo a mere risse di potere, segnate per di più in troppi
casi da una diffusa illegalità e dal disprezzo di ogni regola, oltre che dal
totale disinteresse verso la politica». Allarga le braccia Parisi. «Mi auguro
solo che quella che viene chiamata la celebrazione del congresso nazionale
rappresenti la conclusione di una fase. E che la conseguente liberazione di
energie politiche finora compresse nel partito consenta loro di confluire nel
processo costituente del Pd che da troppo tempo gli ulivisti attendono come un
partito nuovo e non come una ulteriore sigla dell’infinito processo di
transizione».

 

Nei Palazzi della politica gira
la voce di un’iniziativa comune di Parisi e Veltroni i cui contorni sono però
evanescenti. Intanto oggi si sono conclusi congressi regionali della Margherita
in cui sono stati eletti 16 segretari dell’area Popolare che fanno capo a
Marini e Franceschini, 3 legati a Rutelli e 1 vicino a Parisi ma scelto insieme
a Franceschini. L’appuntamento più emblematico è stato il congresso del Lazio
che si è concluso nella maniera più democristiana possibile: con una diarchia
del rutelliano Mario Di Carlo (coordinatore) e del mariniano Francesco Scalia
(presidente). Per trovare un accordo è stato necessario modificare lo statuto
del partito per prevedere l’elezione del presidente dal congresso e la nomina
dell’esecutivo da parte del coordinatore, ma sentito il presidente e con
l’approvazione dell’assemblea. E’ sceso in campo Marini per convincere i suoi,
durante una cena in un ristorante dell’Eur, a disarmare gli eserciti. Il
presidente del Senato e gli ex Dc, forti del 65% dei delegati al congresso
nazionale, hanno adesso altro cui pensare. Sull’altare dell’accordo nel Lazio,
per prima cosa Rutelli dovrà sacrificare il tesoriere Luigi Lusi agli amici di
Marini. Ma soprattutto verrà replicato a livello nazionale la diarchia
presidente- coordinatore. Il vicepremier avrà meno poteri e Antonello Soro più
voce in capitolo. Tanto per dirne una, saranno loro due a trattare con i Ds la
fase costituente del Pd. Il punto è sempre quello sollevato da Parisi e
Veltroni: chi deve sedere alla tolda di comando del nuovo partito.