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16 Gennaio 2006

Lo strappo del Professore

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica

Il candidato premier del centrosinistra Romano Prodi ha rotto il silenzio ma ha anche incrinato il faticoso equilibrio che si era stabilito fra lui e i partiti della lista unitaria. A dieci settimane dalle elezioni, questo non sembra il modo più felice per prepararsi alla fase decisiva della campagna elettorale. Quindi, se non siamo in presenza di un improvviso attacco di autolesionismo, lo strappo ha un significato politico importante. Perché, ricordiamolo, Prodi non è un pasdaran: ad esempio, allorché Francesco Rutelli annunciò il siluramento della lista “Uniti nell´Ulivo”, prima reagì definendolo «un suicidio», poi fu sufficiente un colloquio con Piero Fassino per fare mostra di realismo e accettare il meno peggio.

Dunque, lo sbrego ulivista di ieri va esaminato a fondo. L´irritazione dei Ds e della Margherita è comprensibile, ma è chiaro che l´irritazione non è un sentimento politico. Piuttosto va segnalato come una novità assoluta il fatto che a Prodi abbiano risposto in modo congiunto i due coordinatori della Margherita e dei Ds, con un comunicato che scandiva con puntiglio gli accordi sottoscritti anche da Prodi.

Si dà il caso però che da giorni nel circuito prodiano stesse montando un´inquietudine sorda: secondo alcune analisi di Arturo Parisi, la vicenda dell´Unipol aveva «pericolosamente» ridotto il differenziale di consenso con il centrodestra. E, agli occhi del maggiore ideologo ulivista, di fronte a questo cambiamento di scenario non era più possibile continuare in una strategia compromissoria come quella che aveva portato alla scelta della lista unitaria soltanto alla Camera. Tanto più che dietro la facciata della lista unitaria e dietro la faccia di Prodi, Parisi intravedeva la blindatura di un accordo fra Ds e Margherita, tale da lasciare il partito democratico nel regno delle mitologie popolari. insomma, secondo il massimo analista di Prodi si profila una scelta irriducibile fra quantità e qualità. Se si dovesse interpretare in modo rigorosamente opportunista la formula proporzionale, e in assenza di un progetto comune stringente, tanto varrebbe annunciare il “liberi tutti”. Era la stessa conclusione di Ilvo Diamanti, ieri, su queste colonne. Ed è anche l´esorcismo lanciato in giornata da Prodi: «O si corre con una bandiera veramente unitaria oppure è meglio che ognuno vada con la propria».

Non ci vuole molto per capire la portata implicita in questa alternativa. “Romano” non ha una propria bandiera; se ci fosse il rompete le righe, la sua bandiera dovrebbe farsela. Dovrebbe costruirsi su misura un partito. Conta poco che in questo modo il massimo federatore del centrosinistra possa prospettarsi come il massimo disgregatore. È il Paradosso di Prodi: un capo politico atteso per anni, salutato con entusiasmo, subito discusso, poi tollerato, un re taumaturgo a cui occorreva impedire di comandare; eppure capace, grazie alla sua ostinazione, di resuscitare intercettando il consenso dei quattro milioni di elettori delle primarie.

Il paradosso è caldo perché Prodi deve continuamente rilanciare il vangelo ulivista, che nel lungo andare implica lo scioglimento dei partiti raccolti intorno a lui. Ma è diventato addirittura bruciante perché lo stesso Prodi è il vessillifero di un´ipotesi politica costretta ormai a giocare in chiave maggioritaria dentro il sistema proporzionale. Una contraddizione che può essere giustificata solo da un atto di volontà politica. Da un´idea. Dal partito democratico futuro.

In realtà, la Margherita e i Ds sospettano che al momento per lui più opportuno Prodi tenda sempre a giocare la carta antipolitica, contro i partiti. Si sa che c´è da tempo un conflitto sui numeri che i prodiani dovranno avere in Parlamento, e quindi sulle candidature. Da parte sua, Prodi è convinto che un plotone di fedelissimi gli è necessario per avere una forza sua, in grado di bloccare manovre parlamentari come quella che portò alla sua caduta nell´ottobre 1998 e di negoziare senza timidezze con le forze estreme dell´Unione.

Ma in questo surplace fra Prodi e i partiti, che continua imbarazzante via via che le elezioni si avvicinano, sembra che i dissapori siano destinati a non finire mai. Molti esponenti diessini, in particolare, gli rimproverano a denti stretti il silenzio e comunque la modestia di parole a difesa di Piero Fassino nel momento più acuto della crisi Unipol. A sua volta, i prodiani giudicano che Fassino abbia trattato questo problema in modo autoreferenziale, ribadendo identità e diversità del partito, senza considerare i riflessi che la vicenda stava proiettando sul centrosinistra e sulla sua competitività elettorale.

Di fronte a questa situazione, Prodi ha forzato. Ha richiamato «lo spirito delle primarie», quell´entità indistinta ma trascinante che a suo giudizio chiedeva «di procedere subito e ovunque alla costruzione del partito democratico». Posto di fronte all´alternativa se essere l´allenatore, l´amministratore del condominio, il consulente, in sostanza una delle varie funzione escogitate per descrivere il suo ruolo ridimensionato, ha scelto di procedere a un aut aut: «Non sarò il leader senza partito di una stretta coalizione di partiti». Se le parole hanno un senso coerente, a meno di tre mesi dalle elezioni politiche questo significa una puntata altissima.

E allora, quando si tenta un azzardo, vuol dire che non si va a negoziare. Non c´è tempo per esplorare compromessi o mezze soluzioni. Quindi si vedrà immediatamente, fin da oggi, se quella di Prodi era semplice retorica ulivista o l´enunciazione di uno schema politico vincolante. Perché se era retorica, un flatus vocis uscito dal cuore per scaldare una platea, non servirà a niente, se non a complicare i rapporti interni all´Ulivo. Ma se è una prospettiva politica a cui Prodi richiama gli alleati, i contraccolpi possono essere pesanti. O c´è il risultato minimo della lista unitaria anche al Senato, oppure gli accordi entrano in tensione. “Romano” ha una sola carta, una briscola avvelenata: il varo del suo partito personale. Se la usa davvero, anche solo come minaccia, è la mano più dura mai vista nel gioco di paradossi di cui Prodi è al centro.