19 Ottobre 2005
L’identità del centrosinistra: kennediani o socialisti Dopo le primarie
Autore: Paolo Franchi
Fonte: Corriere della Sera
Dice Massimo D’Alema che è meglio diffidare delle esagerazioni: «Ieri eravamo tutti divisi, oggi siamo un unico partito». L’elettorato più attivo del centrosinistra, quei quattro milioni e passa che sono andati a votare, e soprattutto quegli oltre tre milioni che hanno scelto Romano Prodi, vuole unità. E, salvo imprevedibili intoppi, una lista unitaria per la Camera avrà. Per il resto, calma e gesso: «I percorsi politici non durano tre giorni». Giusto, il realismo non è mai troppo.
Ma, adesso che Francesco Rutelli e la maggioranza della Margherita hanno dovuto lasciar cadere il fiero intendimento di correre da soli nelle elezioni di primavera, è proprio sui percorsi che sarebbe bene intendersi. Meglio, sulle loro mete: non sta scritto da nessuna parte che l’afflato unitario del popolo delle primarie sia un valore in sé, condiviso quasi per definizione dagli elettori. Con il proporzionale, anzi, capita pure abbastanza spesso che uniti si perda. O si ottengano risultati poco esaltanti, come il 30 per cento e poco più dei riformisti «Uniti nell’Ulivo» alle ultime elezioni europee.
Allora Rutelli e la maggioranza della Margherita ne presero atto, si ritennero danneggiati (qualcuno disse: cannibalizzati) dai Ds, e iniziarono a schierarsi a difesa della propria autonomia: basta liste comuni, niente partiti unici. Adesso pongono la questione in modo molto diverso. Nonsono in grado di porre condizioni ultimative per l’oggi, ma di lanciare oggi una sfida per il domani sì. E dunque tornano a mettere sul tappeto il tema della costruzione in tempi non storici, ma politici, del «Partito democratico».
Di un partito che in Italia, in Europa e nel mondosi collochi al di là e al di fuori della famiglia socialista e delle sue istituzioni. Che guardi più a Clinton e a Blair che a Zapatero, alle socialdemocrazie del Nord Europa o allo stesso Schröder. E che si organizzi di conseguenza, anche per quanto riguarda il pluralismo dei suoi gruppi dirigenti.
Non è solo un diversivo. Il tema ha diviso i Ds sin dai loro primi passi, contrapponendo, in particolare, il «kennediano» Walter Veltroni al «socialista» D’Alema. Acqua passata, visto che, se Veltroni la pensa ancora così, D’Alema ha cambiato in gran parte idea, e Piero Fassino pare poco interessato al dilemma? In parte sì, ma solo in parte: la questione è stata pragmaticamente accantonata, non risolta.
E’ molto difficile, anzi, pressoché impossibile che la Quercia possa (e voglia) venirne a capo nei pochi mesi che ci separano dalle elezioni; e Rutelli, realisticamente, non lo chiede nemmeno.Maqualche notizia su identità e direzione di marcia i Ds dovranno pure risolversi a darla. Anche perché in caso contrario la lista comune rischia di ridursi al rango di ragionevole soluzione al problema della candidatura di Prodi, o poco più. Ei contrasti oggi messi (quasi) tra parentesi minacciano di ripresentarsi il giorno dopo le elezioni.