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5 Maggio 2005

L’Europa rapita e la festa di Putin

Autore: Franco Venturini
Fonte: Il Corriere della Sera

Una grande parata sulla Piazza Rossa ricorderà, lunedì, il sessantesimo anniversario della vittoria sovietica sul nazifascismo. Vladimir Putin ha voluto fare le cose in grande, e una cinquantina di capi di Stato e di governo saranno presenti a testimonianza della gratitudine che l’Urss di allora, guidata da Stalin e forte della straordinaria capacità di sacrificio del suo popolo, ha conquistato sul campo: senza la morte di oltre ventisette milioni di sovietici l’errore hitleriano di attaccare a oriente si sarebbe trasformato in trionfo, e assai diversa sarebbe stata anche la storia dell’Europa occidentale.
Onore a chi ha tanto contribuito a renderci liberi, dunque. Ma dietro le fanfare e lo sventolio di bandiere che tutti ci unisce, nella festa di Mosca ci sarà anche un forte elemento di ingiustizia storica e di delusione politica.
Vladimir Putin è da qualche tempo alla controffensiva. Non sono fondate le critiche che mettono in dubbio l’evoluzione democratica della Russia contemporanea, non è vero che i media siano tutti controllati, quello della Yukos è un caso isolato e il Cremlino sollecita più che mai l’amicizia ( e gli investimenti) dell’Occidente.
Ricordare insieme la vittoria di sessant’anni fa serve anche a questo: a superare i contrasti degli ultimi tempi e a stabilire una equivalenza tra il fronte antinazista di allora e quello antiterrorismo di oggi.
Bene, se è così si può stare al gioco. Purché della Storia si dia una lettura simile se non proprio eguale. Purché sulle ragioni che hanno indotto due Repubbliche baltiche su tre a rifiutare l’invito di Putin ci sia una comunanza di analisi. A condizione, insomma, che mentre esalta l’eroismo dei difensori di Stalingrado la Russia di oggi abbia anche il coraggio di prendere le distanze dalla churchilliana « cortina di ferro » , accet ti di riconoscere l’ultradecennale assenza di libertà in quella che Milan Kundera chiama « L’Europa rapita » , dia un senso ai suoi accordi con la Nato e con l’Unione Europea rinunciando all’ambiguità sul massacro di Katyn o sulla crudele attesa dell’Armata Rossa davanti a Varsavia in rivolta.
Il ministro della Difesa Ivanov, fedelissimo di Putin, ha messo ieri le mani avanti: « Di cosa si discute, dove sareste voi se noi non avessimo spezzato la spina dorsale della Germania nazista? » .
Vero, lo abbiamo già detto. Ma nessuna riconoscenza verso i meriti bellici dell’Urss può cancellare i suoi torti successivi, l’instaurazione di dittature nei Paesi liberati, la repressione del dissenso, il ricorso alla « dottrina Breznev » quando qualche vassallo dell’impero ha creduto di poter raggiungere l’autonomia prima che il muro di Berlino crollasse.
L’autocritica storica, si dirà, è una specie rara anche lontano da Mosca. Ma la questione che viene ora posta dalla grande assemblea di potenti sulla Piazza Rossa è appunto questa: può la Russia di Putin rivendicare una seconda alleanza con l’Occidente democratico senza distinguersi da un passato che democratico non fu? Può il Cremlino di oggi affermare la sua radicale diversità dal sistema imperialestaliniano e post staliniano senza accettare che di quel sistema « si discuta » , appunto, in termini critici? Ben venga la sfilata dei veterani che i cerimonieri di Mosca hanno preparato, anche se tra loro molti guarderanno in cagnesco la nuova Russia e ricorderanno invece, indifferenti ai dibattiti storici, il condottiero georgiano dei tempi di guerra. Ma Putin, lui, dovrebbe sapere che con il retaggio postbellico di Stalin una Russia che si vuole democratica dovrà fare i conti. E che una parola chiara, prima o poi, dovrà essere detta.