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16 Ottobre 2006

Le primarie dell´Unione un anno dopo

Autore: Andrea Manzella
Fonte: la Repubblica

Passato un anno dalle primarie del 16 ottobre 2005, si capisce che c´è
un legame che tiene uniti i giorni in cui gli italiani hanno deciso di
«non andare al mare». Giorni memorabili. Come quello del referendum del
9 giugno 1991 che vide sconvolta la linea di successione interna ai
partiti, basata sui voti multipli di preferenza. Come quello del
referendum del 18 aprile 1993, che cambiò la «costituzione» elettorale
del paese, dal proporzionale al maggioritario: e così capovolse il
rapporto di forza tra gli elettori e i partiti “in” Parlamento. Come
quello del referendum ultimo del 25 giugno 2006 che respinse il
tentativo di cambiare, con una lottizzazione tra i quattro partiti del
centrodestra, la identità costituzionale della Repubblica e la storia
delle sue origini.

Il legame comune tra questi giorni e il 16 ottobre 2005 delle
primarie è che tutti sono segnati dal rigetto elettorale dei
partiti-così-come-sono nella vita politica italiana. Ma le primarie
fanno un passo assai più largo in avanti. Perché esse non utilizzano
uno strumento giuridico già previsto dalla Costituzione come il
referendum. Esse ne inventano uno nuovo. Riscoprono un metodo: a metà
strada tra le forme della democrazia rappresentativa (Parlamento,
istituzione-partito) e della democrazia diretta (referendum, iniziativa
popolare). Nasce così la democrazia partecipativa. Che non ripudia
affatto Parlamento e partiti, ma ne rivoluziona i processi di decisione
interna. Assegna ad una base di elettori il potere di porsi all´inizio
di quei processi: e, dunque, di marcarli profondamente e di mutarne la
capacità, per così dire, di «stare al mondo».

È questo metodo la cosa che veramente resta, ad un anno di distanza. E
che resiste. Sia contro la stupefacente rivelazione che nessuno ha
finora pensato di ordinare e di fare un uso politico sistematico della
straordinaria banca-dati volontariamente formata da quattro milioni e
mezzo di cittadini (da allora un po´ abbandonati a se stessi, e magari
dispersi).

Sia contro la fuorviante idea che quel giorno si sia così,
all´improvviso, costituito un partito, magari intorno al leader che fu
plebiscitato. Dimenticando che qualsiasi personalizzazione della
politica – pur necessaria per la sintesi e per l´unione – non è di per
sé sufficiente a creare un partito vero: se non c´è, assieme, la
percezione e la passione di quella che Ciampi chiama la “missione”.

Resiste dunque il metodo delle primarie contro tali devianze. E
viene anzi proposto per applicazioni diverse da quella originaria. Non
solo quindi come modo di pre-scelta dei candidati elettorali. Ma anche
come referendum per conoscere il reale orientamento di una opinione
pubblica “situata” in una certa predisposizione politica. Ma anche come
consultazione su progetti di legge “difficili” da parte dei gruppi
parlamentari di riferimento.

Come mai questa sopravvivenza all´episodio? Perché vi è anche una
diffusa curiosità europea? La risposta è che le primarie hanno
incrociato, incrociano, lo spirito del nostro tempo: che è quello in
cui donne e uomini cercano una profonda riorganizzazione della politica
intorno a verità diverse e reali. Ora comincia a posarsi il polverone
di un ‘900 che è finito con il crollo dei suoi miti e delle sue
etichette. Che cosa ora significa “destra”, che cosa ora significa
“sinistra”? C´è un grande subbuglio. È il mondo intero un “inciucio”:
se si vogliono definire le cose dal buco ristretto (e assai miserello)
della serratura italiana. Perché cominciano a intravedersi le nuove e
vere fratture d´opinione. E si capisce che le faglie si sono aperte
all´interno dei vecchi schieramenti, confondendo le antiche
appartenenze.

Si vede perciò un ritorno di protezionismo – basato sugli Stati e
sui “campioni” nazionali – che accomuna destri e sinistri. E si vede
una sfida economico-sociale alla globalizzazione basata sulla
cooperazione sovranazionale, sfida che unisce nuovi “liberali” e nuovi
laburisti. Si sente, perciò, ancora, una nostalgia di fossati contro le
immigrazioni e le importazioni: lo stesso groppo che prende alla gola
vecchia destra e vecchia sinistra (unite nella lotta). Si sente, di
contro, una voglia di costruire ponti e di andare avanti, per non
essere sopraffatti dai modi vecchi di affrontare problemi nuovi, voglia
di rischio necessario che anima allo stesso modo elettori e militanti
di destra e di sinistra.

Vi è insomma la liquefazione del panorama politico che durava da due secoli.
Vi è un immenso processo di assestamento in un mondo che si è fatto stretto.
È per questo che la partecipazione diretta dei cittadini ora ha per la
politica un valore di ancoraggio. Si ritorna alla base, non perché i
partiti hanno tradito la loro ragione sociale di pensare l´avvenire. Ma
perché la loro funzione è ormai bloccata dai poteri di veto derivanti
da una composizione fatta di scomposizioni. Ecco anche perché, finché
dura la grande marea (e non si sa quali navi lascerà a secco e quali
porterà al largo…) sembra così rischioso pensare a nuovi partiti
mentre è incerta la forma di quelli esistenti.

Ma c´è di più. Perché già oltre la democrazia partecipativa, pur
così carica di innovazione – con il coinvolgimento diretto dei
cittadini nella “vita democratica” (per usare le parole del progetto di
Costituzione europea) – si intravedono nuovi passaggi da compiere.

Il problema dei problemi della nostra società è infatti quello
dell´immensa massa di estranei alla politica che non hanno alcuna
voglia di “partecipare” comunque alla politica. Ma che tuttavia non
sono tutti, e non sono ancora, l´”antipolitica”. In Francia, Pierre
Rosanvallon ha lanciato una provocazione intellettuale estrema:
istituzionalizzare la “contro-democrazia”. Cioè dare riconoscimento e
valenza “costituzionali” ai poteri di controllo, di giudizio e di
sanzione diffusi nel corpo sociale.
Accompagnare cioè prassi e
procedure della democrazia – che ne sono la garanzia interna – con la
coscienza dei valori, informali ma influenti, della
“contro-democrazia”: che ne sono la garanzia esterna. Per aprire così
la società ristretta della politica e dare spazio e respiro ad un mondo
che non sarà mai “politico” ma che ha bisogno di non essere lasciato
solo di fronte al canto delle sirene dell´antipolitica. In questa
“contro-democrazia” chi è di destra, chi è di sinistra? Quale sondaggio
mai sarà capace di capirlo?

Insomma, un anno fa le primarie hanno aperto un discorso che non è
finito, malgrado le sue impuntature. E l´idea di una cittadinanza che
non rinnega i vecchi istituti di democrazia ma cerca di creare confini
aperti con l´altra parte della città, includendo la massa che la popola.