19 Settembre 2005
Le elezioni tedesche e la crescita in Europa. Piu’ mercato a Berlino
Autore: Mario Monti
Fonte: Il Corriere della Sera
Sul futuro dell’economia europea e dell’euro avranno più impatto le
elezioni in tre grandi Paesi — domani in Germania, nella primavera prossima in
Italia, un anno dopo in Francia — di quanto potranno averne tutte le decisioni
della Banca Centrale Europea, della Commissione e dei sette vertici dei 25 capi
di governo che avranno luogo nel frattempo. Le politiche che determinano la
crescita, la competitività e l’occupazione sono in larga misura di competenza
dei singoli Paesi e questi tre Paesi pesano per il 52 per cento sul prodotto
interno lordo dell’Unione Europea e per il 69 per cento su quello della zona
euro.
Quando si dice che l’economia europea «va male» e che l’euro o la politica
della Banca Centrale europea «ostacolano la crescita» si dice qualcosa che
cesserebbe istantaneamente di essere vera, se si guardasse al resto dell’Unione
Europea o della zona euro. Sono soprattutto le tre grandi economie continentali
(e fra queste in misura accentuata l’Italia) ad avere prestazioni
insoddisfacenti. Il peso di questi tre Paesi è molto rilevante anche nel
determinare la direzione e il ritmo delle politiche comunitarie. Essi, e
soprattutto la Francia e la Germania, sono stati negli ultimi anni fattori
frenanti nel processo di integrazione economica e di liberalizzazione (si pensi
alla liberalizzazione dell’energia, alla direttiva sulle offerte pubbliche di
acquisto o alla direttiva sui servizi), mentre in passato ne erano stati i
principali propulsori.
È importante che dalle tre elezioni emergano leadership — e condizioni di
governabilità — capaci soprattutto di rendere più moderne e competitive le
rispettive «economie sociali di mercato». Ciò richiede riforme strutturali che,
rendendo più efficiente il mercato consentano anche di conseguire in modo
migliore e più sostenibile gli obiettivi sociali. (Indicazioni interessanti sono
state presentate la settimana scorsa al consiglio Ecofin di Manchester, su
invito del ministro britannico Gordon Brown, da André Sapir: Globalization and
the reform of European Social Models,
www.bruegel.org).
Ma perché questi progressi avvengano, a me sembra necessario uno «sblocco»
di tipo culturale, in particolare in Francia e in Germania: la riappropriazione
dell’economia di mercato. Mi ha colpito negli ultimi anni —anche come
interlocutore di quei due governi affinché rispettassero le regole del mercato
unico e della concorrenza — una certa presa di distanza dai principi
dell’economia di mercato. Più riottoso e difensivo in Germania,
intellettualmente più aggressivo e sublimato da ascendenze colbertiane in
Francia, l’atteggiamento del potere politico, ma in parte degli stessi poteri
economici, nei confronti del «mercato » ha rivelato una crescente alienazione.
Sempre più spesso tedeschi e francesi, riferendosi al mercato, hanno preso ad
usare due coppie di aggettivi spregiativi: «ultra liberale » e «anglo-sassone
».
È anglosassone, in Europa, l’economia di mercato? Se pensano così, tedeschi
e francesi danno prova di eccessiva (e, per alcuni di loro, inconsueta) modestia
e stravolgono la storia. Fu la Germania a improntare al mercato la costruzione
europea. Negli Anni Cinquanta Ludwig Erhard mise in pratica i principi elaborati
nei decenni precedenti dalla Scuola di Friburgo e diede vita in Germania alla
Soziale Marktwirtschaft, con un fondamentale pilastro fatto di mercato e di
concorrenza.