Le ragioni che gli uomini più vicini al premier hanno fin qui portato per negare la convenienza di elezioni anticipate sono apparse deboli. Non si banalizza troppo se si dice che gli argomenti addotti si riducono a uno solo: a Berlusconi, dicono, conviene tirarla in lungo, fino alla scadenza normale della legislatura, nella speranza che, da qui ad allora, il vento cambi, che un miracolo modifichi una situazione che appare oggi compromessa: più o meno come accadde, nelle ultime elezioni in Germania, al cancelliere Schröder, il quale, dato per spacciato dai sondaggi, venne salvato dal modo efficiente con cui fronteggiò un’emergenza naturale.
Ma la razionalità, mi sembra, non è dalla parte di chi la pensa così. Se si ragiona di elezioni anticipate è meglio prima di tutto interrogarsi sulla convenienza del presidente del Consiglio, dal momento che a lui spetta decidere se chiederle o no al capo dello Stato.
E l’idea che qui si sostiene è che gli convengano. Sia perché potrebbe vincerle, sia perché, se le perdesse, cadrebbe in piedi, senza avere ancora sperperato il suo capitale politico e conservando il diritto di decidere sulla propria successione.
Ma siccome le elezioni anticipate, è praticamente certo, non ci saranno (per le ragioni che ieri ha benissimo illustrato sul Corriere Paolo Franchi), proviamo a fare un piccolo esercizio di previsione su che cosa accadrà nell’anno che ci separa dalla fine naturale della legislatura.
Assisteremo a una decomposizione irreversibile di ciò che fu la Casa delle Libertà. Ciò accadrà «in basso», nel suo blocco elettorale di riferimento, e «in alto», nei rapporti fra i suoi gruppi dirigenti.
In basso, l’effetto bandwagoning , la corsa a saltare sul carro del probabile nuovo vincitore (il centrosinistra), già in atto subito dopo la proclamazione dei risultati delle elezioni regionali, crescerà, si gonfierà, di settimana in settimana.
Politici locali, piccoli imprenditori, banchieri, funzionari ministeriali, giornalisti televisivi, tanti appartenenti a categorie che traggono benefici dalla protezione politica, e che fin qui avevano scelto il Polo, cercheranno di riciclarsi nel centrosinistra.
Il problema del centrosinistra non sarà quello di sollecitare passaggi di campo. Sarà piuttosto quello di arginare i flussi e predisporre i campi di accoglienza. E, naturalmente, ogni «partenza» dal Polo andrà a indebolire la sua rete sociale di riferimento.
All’effetto bandwagoning (in basso) farà da pendant (in alto) la guerra continua fra le diverse componenti del centrodestra non più tenute insieme dalla (un tempo) energica leadership di Berlusconi.
Si tratti di devolution o di Legge finanziaria, la maggioranza deve prepararsi a un futuro di continue sconfitte in Parlamento per effetto degli scontri fra Lega, Udc e An. L’azione del governo verrà paralizzata dai veti incrociati. Data per ormai spacciata la coalizione, ciascun gruppo (anche dentro Forza Italia) cercherà di massimizzare il proprio vantaggio a scapito delle altre componenti.
Il centrosinistra non dovrà far altro che restare alla finestra, attendere che il processo di decomposizione della maggioranza e il logoramento di Berlusconi arrivino alle estreme conseguenze. E aspettare serenamente le elezioni per sferrare il colpo di grazia.
Berlusconi ha solo una settimana per scegliere: andare alle elezioni anticipate e, se le perde, uscirne politicamente ancora forte, ancora in grado di influenzare gli eventi, oppure prepararsi a una lunga e dolorosa agonia. Alternativamente, può aggrapparsi alla speranza di un miracolo. Ma questo è proprio ciò che un uomo politico non dovrebbe mai fare.