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31 Marzo 2005

La verità di giudici e giornalisti

Autore: Piero Ottone
Fonte: la Repubblica

È inutile negarlo: quando un giudice entra nella vita politica, quando depone la toga per presentarsi candidato di questo o quel partito, si prova disagio. Al giudice chiediamo d´esser imparziale: la militanza politica getta un´ombra sulla sua imparzialità. Se ne è discusso nel passato, e ogni nuovo caso (come il giudice Casson a Venezia) rinfocola la discussione. Si propongono anche, ogni volta, nuove leggi, più precise e più severe di quelle vigenti. Il tema è complesso: e vorrei offrire un contributo al dibattito proponendo un´analogia fra magistratura e giornalismo. So di essere abbastanza isolato quando faccio un parallelo fra giornalisti e giudici. Però non mi scoraggio: deponendo la modestia, sono convinto d´aver ragione.

Nessuno si meraviglia quando la società civile chiede al giudice di pronunciare una sentenza giusta. Anzi, la richiesta è scontata; e tutte le discussioni sui rapporti fra magistratura e politica partono da questa premessa, che il magistrato deve essere indipendente, quindi imparziale. Bene: io sostengo che il giornalista (a parte le ovvie differenze fra lui e il magistrato) abbia verso la società civile l´analogo dovere di essere imparziale quando racconta, di giorno in giorno, quel che succede.

Parlo ovviamente del giornalismo di informazione, che è diverso dal giornalismo di partito: ma il fatto che i giornali di partito, un tempo numerosi in Italia e fuori, siano praticamente scomparsi, indica che un Paese moderno chiede alla stampa, per l´appunto, non propaganda ma informazione; tanto è vero che anche i giornali tendenziosi fingono di essere imparziali. Lasciatemi pronunciare l´aggettivo odiato in questo Paese, ma solo in questo: un Paese moderno chiede informazione obiettiva, un´informazione cui si possa credere.

La sentenza giusta, e la notizia obiettiva, non sono in una società evoluta un di più, una ciliegia sulla torta: sono un dovere preciso, un imperativo dettato dall´etica professionale.
A questo punto sorge l´inevitabile quesito: esistono esseri umani che, sia nella funzione di giudice, sia nella funzione di giornalista, sappiano essere davvero imparziali? O non sono tutti influenzati, inevitabilmente, dalle passioni, o anche semplicemente dalle preferenze, dalle inclinazioni personali, che per loro natura sono di parte?

Il dibattito si chiarisce se vi si introduce il concetto di priorità. Non c´è dubbio che ogni essere umano, quindi anche il giornalista e il magistrato, abbia le sue idee, le sue convinzioni; e infatti, se è un buon cittadino e va a votare, vota per l´uno o per l´altro partito.

Ma il magistrato onesto, nel momento in cui giudica, ha nel suo intimo una priorità diversa dall´inclinazione politica: la sua priorità, la sua ambizione, il suo orgoglio è di essere, per l´appunto, un buon magistrato, quindi di essere giusto. Se prevale in lui, invece, la passione politica, se questa passione è la sua priorità interiore, ciò indica solo che ha sbagliato carriera. Doveva fare l´uomo politico, non il giudice.

Lo stesso vale per il giornalista. Non parlo di chimere: parlo di esperienze personali. Quando ebbi la fortuna d´esser mandato a Mosca, come corrispondente, potevo essere definito, credo, un liberale: ma la mia priorità era di raccontare ai lettori i vari aspetti, positivi e negativi, di quel regime, che liberale non era. Ero una mosca bianca nella professione giornalistica?

Non credo proprio: i colleghi che ho conosciuto e frequentato, in questa lunga militanza professionale, avevano in grande maggioranza, e hanno tuttora, una priorità simile alla mia. Inclusi quelli che, concettualmente, sostengono l´impossibilità d´esser obiettivi.

Come, per citare un esempio fra questi ultimi, Scalfari: che ha preferenze di sinistra, e nell´obiettività concettualmente non crede, ma se scopriva malefatte di uomini di sinistra, non esitava a parlarne nei giornali che dirigeva. Dimostrando così di essere obiettivo, e di anteporre l´obiettività all´interesse di parte, sebbene questo fosse, in lui, particolarmente vivo.

L´imparzialità del giudice, l´obiettività del giornalista sono, come emerge da queste mie note, in primo luogo una questione di coscienza, una questione di onestà professionale, che sfugge, tranne i casi macroscopici, al controllo esterno. Ne consegue che leggi riguardanti i magistrati, di cui si parla sempre più spesso, sono inutili, se non addirittura dannose.

Il magistrato che abbia scelto la carriera per vocazione, non per caso o per opportunismo, stabilisce spontaneamente la sua priorità di giustizia, a scapito delle preferenze politiche (o religiose, o d´altra natura). Se a un certo momento della vita sente il desiderio di deporre la toga, e di presentarsi candidato per il partito “x” o “y”, se la militanza politica diventa per lui più importante, più appagante, che il fare giustizia, meglio che abbandoni la magistratura al più presto, che cambi mestiere: lungi dall´impedirglielo, bisogna incoraggiarlo.

Una legge che lo obblighi a essere magistrato farà di lui un magistrato sospetto. Sarà invece utile una legge che gli impedisca, dopo la militanza politica, di tornare alla magistratura.
In ultima analisi, questi grandi obiettivi, l´imparzialità dei giudici, l´obiettività dei giornalisti, come del resto l´onestà in qualsiasi attività professionale, sono un indice di maturità civile: tutto dipende da quel che una società evoluta s´attende da ogni singolo individuo, e dalla risposta che ogni individuo è capace di dare alle aspettative della società. Progredisce la società italiana verso questi obiettivi? Tutto sommato credo di sì; ma spesso ho i miei dubbi.