Ha ragione Bocca a dire che lo Spirito santo ha visitato e illuminato le menti oscurate di quei leader che stavano portando il centrosinistra verso il caos e forse anche il disastro.
Prodi ha rinunciato alla sua lista e la Margherita si è tirata indietro di fronte alla minaccia della scissione. Così, dopo aver navigato in un brutto tratto di secche, il vascello del centrosinistra ha ripreso la rotta.
Ma non si può pensare che quanto avvenuto non lasci tracce. Affinché l’oscuramento delle menti non ritorni occorre tenere a mente il messaggio che emerge dalle più recenti vicende della coalizione.
Vorrei partire dalla questione centrale della leadership del Professore. Questi ha detto che non accetterebbe di essere un re che non governa. In tal modo ha posto con energia il problema della qualità della sua leadership come questione di principio e richiesta di chiarezza.
Sennonché, nella realtà della politica, il tipo di leadership risulta dalle basi su cui essa è in effetti in grado di poggiare, che possono essere o il disporre di una propria forza autonoma oppure il dipendere da diversi soggetti politici.
La prima è una leadership che potremmo definire di “sfondamento”, la seconda ha un carattere “contrattuale”.
La prima è propria di un capo che ha dietro di sé un partito compatto capace di competere per il potere da solo o di peso decisamente prevalente, la seconda quella che dipende da una pluralità di partiti i quali, non essendo alcuno di essi in grado di avanzare un proprio candidato premier, accettano una guida “terza” per il governo.
Si tratta di una distinzione essenziale, che, quando se ne perde il significato, provoca equivoci, debolezza e tensioni.
Certo l’insidia palese della leadership contrattuale è che il capo diventi “un re polacco”. Ma, allorché non vi sono le condizioni sostanziali per una leadership del primo tipo, è bene prenderne atto e operare perché l’alleanza tra i partiti poggi su interessi convergenti resi sufficientemente solidi e durevoli dalla comune volontà di non aprire le porte alla vittoria e al governo dello schieramento avversario.
La strada scelta dal centrosinistra in generale e dai partiti che avevano dato vita all’Ulivo è stata un incrociarsi di linee e di prospettive che si sono sovrapposte, di spinte diverse entrate in rotta di collisione, di progetti di riscrittura dei soggetti politici che non hanno retto alla prova.
Il che emerge dall’esaminare i modi in cui Prodi ha cercato di affermare la sua leadership, l’evoluzione dei rapporti interni alle componenti dell’Ulivo, gli effetti che ne sono derivati.
Tutto il comportamento di Prodi a partire dalla sua seconda candidatura alla guida del centrosinistra è stato dominato dal vulnus impressogli dalla caduta del suo governo. Dotarsi di una forza personale divenne la sua parola d’ordine.
Prima lo fece pensando per un verso ad un’investitura popolare mediante le primarie, per l’altro alla formazione di un Ulivo capace di stringere le sue diverse componenti “riformistiche” in una lista unica: ma gli si parò dinanzi la candidatura alternativa di Bertinotti, che pure lo riconosceva anche come unico candidato alla guida del governo.
Elemento rassicurante appariva l’aver raggiunto un tasso di notevole unità nell’Ulivo; ma sotto l’apparenza covava l’irrequietezza entro i Ds di coloro che temevano l’egemonia della Margherita ed entro quest’ultima di quanti fremevano all’idea di essere assorbiti dalla più forte delle componenti uliviste.
Poi il successo alle elezioni regionali fece credere ai prodiani di varia tendenza che il Professore avesse ricevuto grazie a esse la necessaria e indiscutibile investitura: si trattò di un’illusione, poiché Rutelli e Marini, che al pari di Bertinotti sempre giuravano sul leader unico, lessero i risultati elettorali e la sconfitta di Berlusconi in una chiave che li portò a ritenere che fosse giunta l’opportunità di riequilibrare a loro favore i rapporti di forza con i Ds collocandosi su una piattaforma atta a intercettare il voto dei moderati delusi del campo avverso e che il mezzo adatto fosse la presentazione di una propria lista nella quota proporzionale nel quadro di un’operazione volta altresì a porre fine al flirt troppo spinto di Prodi con i Ds.
Quando Rutelli ottenne una solida maggioranza nella Margherita e chiese a Prodi di ricollocare su nuove fondamenta la propria leadership e alle componenti dell’Ulivo di rivedere il carattere dell’intesa, è esplosa la crisi.
Prodi si è trovato privo di sponda, i Ds hanno visto traballare la loro strategia, le tensioni tra tutti si sono esasperate, la Margherita si è spaccata e il capo che avrebbe dovuto unire è diventato un fattore di instabilità: molto accresciuta nel momento in cui egli ha reagito lanciando l’idea, respinta dalla Margherita e poco gradita ai Ds, di fare una lista “con chi ci sta” e persino una propria lista, mostrandosi disponibile a trasformarsi in capo partito e a rinunciare a competere per la guida del governo.
La dèbâcle era alle porte. Infine la saggezza – questo è il termine giusto – è prevalsa. Ma, a questo punto, l’esperienza suggerisce alcune riflessioni. È da domandarsi, anche alla luce del referendum, se sia vera la tesi che i vari riformismi interni al centrosinistra possano essere efficacemente ricondotti a uno; se la prospettiva di fare dell’Ulivo il presupposto di un partito unificato sia insieme desiderabile e realistica, dal momento che quanti la desideravano hanno mostrato di non saper dare a essa concretezza; se non si richieda all’Ulivo di prendere atto che, stando le cose come stanno, l’unico suo fondamento plausibile è un’alleanza tra partiti capaci di convergere su un programma comune, di mettere in campo un candidato al governo che del programma si faccia garante e interprete potendo contare sulla lealtà dei suoi sostenitori.
Si può anche voler accelerare, ma allora è richiesta una macchina che sopporti l’accelerazione stessa. Chi ha creduto che questa fosse a portata di mano si è semplicemente sbagliato.
I dati di fondo sembrano essere ora due: il re, in caso di vittoria, non avrà tutte le risorse per governare come vorrebbe, ma guai per noi se i partiti chiamati a sostenerlo giocassero col liberum veto; la Margherita in stile Rutelli, che si può giudicare come si vuole, esiste e il centrosinistra, come si è capito, non può fare a meno anche della sua ruota.
Il Professore è tornato a chiedere le primarie con l’intento di rafforzare la componente di “sfondamento” della sua leadership rispetto a quella “contrattuale”. Ben vengano le primarie (che, se si terranno, è da sperare che portino al risultato voluto), ma azzardo l’ipotesi che non saranno sufficienti a dare a Prodi la forza autonoma che egli insegue, poiché le vicende in corso mostrano a tutte lettere il persistente, prevalente peso dei partiti in un Ulivo nel quale quanti hanno finora nutrito l’ambizione di formare un soggetto unitario hanno dovuto gioco forza metterla da canto.
Per tutto questo sembra ragionevole pensare che l’autorità di Prodi dipenderà soprattutto dal senso di responsabilità delle componenti della coalizione. E che lo Spirito santo provveda.