14 Febbraio 2005
La saggezza del voto aiuta la democrazia
Autore: Bernardo Valli
Fonte: la Repubblica
LA LETTURA del voto iracheno rivela la straordinaria (in verità eccezionale!) intelligenza politica degli 8 milioni e mezzo di elettori che l´hanno espresso, sfidando le minacce dell´opposizione armata. È come se, oltre alla dignità e al coraggio già riconosciuti, anche un´antica saggezza li avesse accompagnati alle urne. E, con loro, avesse disegnato un´Assemblea non solo capace di redigere una Costituzione accettabile per tutte le componenti del mosaico etnico e religioso, ma anche di promuovere il primo legittimo governo nel Paese lacerato da un conflitto, da non tutti chiamato guerra civile.
Non sto insinuando che i risultati ufficiali siano stati abilmente limati, adeguati alla tragica situazione, da chi a Bagdad dispone di quasi tutti gli strumenti del potere. Insomma, non sto dicendo che essi siano stati riveduti e corretti dal governo Allawi, con la consulenza dell´ambasciatore americano Negroponte. Ma non si può neppure negare che quei risultati sembrano ritagliati su misura per favorire un preciso progetto politico. La credibilità non è garantita tanto dai controlli esercitati dallo sparuto plotone di funzionari dell´Onu presenti in Iraq, non più di una cinquantina, e non certo in grado di garantire da soli la correttezza di uno scrutinio di quelle dimensioni. Essa si basa anzitutto sul valore, sul significato e sui propositi di quell´elezione nel suo insieme. La fiducia va espressa con generosa onestà. L´indiscriminata contestazione va lasciata a chi si esprime soltanto con la violenza e il terrore.
Condoleezza Rice è stata molto chiara durante il viaggio in Europa. Il nuovo segretario di Stato ha messo da parte i messianici annunci del suo presidente, forse per non urtare i decadenti interlocutori del Vecchio Continente ammalati di razionalità, ha riconosciuto che la democrazia non la si “esporta”, né la si può “imporre”. E appunto la democrazia non è stata paracadutata e adesso sta fiorendo sulle sponde del Tigri e dell´Eufrate.
Siamo ben lontani da questo. Non si può essere più realisti del re. In Iraq, dopo tanti errori e tante menzogne, è stata tuttavia realizzata un´operazione ispirata a principi democratici. La quale, di per sé, nell´attesa delle imprevedibili conseguenze, costituisce un successo per chi l´ha voluta e promossa.
Il voto che ne è uscito è di straordinaria, eccezionale intelligenza, perché non ha espresso una straripante maggioranza della grande alleanza (religiosa) sciita, come ci si poteva aspettare. Se invece del 48 per cento l´Alleanza unificata irachena, patrocinata dal grande ayatollah Al Sistani, avesse raggiunto il pronosticato 60 per cento, non sarebbe stato possibile rispettare gli equilibri indispensabili per tentare di mantenere l´unità del Paese. Con i due terzi dell´Assemblea richiesti per promuovere il futuro governo, gli sciiti si sarebbero appropriati di tutte le maggiori cariche, frustrando i curdi del Nord, andati alle urne in massa al fine di legittimare la propria autonomia regionale (e conquistare il 25 per cento dei seggi all´Assemblea Costituente). Essi si sarebbero sentiti non solo frustrati, ma anche spinti verso una secessione al fine di difendere la propria identità. Per non parlare dei sunniti; i quali hanno disertato in massa le urne (soltanto il 2 per cento ha votato nel Triangolo della Morte dove imperversa l´insurrezione armata); ma i quali devono essere recuperati con pazienti trattative se si vogliono estirpare le radici della guerra civile.
La saggezza che ha accompagnato per mano gli elettori alle urne, e ne ha fatto uscire risultati su misura, ha un nome. Quello dell´ayatollah Al Sistani. Il quale non ha voluto stravincere. Ha evitato che l´elezione si riducesse a un avvento al potere degli sciiti. E che al tempo stesso si abbattesse sull´Iraq un´ondata religiosa di tipo iraniano. Come capo spirituale dice che la barba è obbligatoria e che ragazzi e ragazze non si devono parlare, neppure al telefono, fino a quando non sono ufficialmente fidanzati. Non devono neppure giocare a dama o a scacchi insieme. Ed esige che la futura Costituzione abbia un´impronta musulmana. Per lui l´Islam deve essere la religione ufficiale. Ma non pretende che le leggi siano quelle del Corano; e attraverso i suoi collaboratori ha più volte fatto sapere che le altre religioni e i diritti dei laici devono essere rispettati.
Sistani non vuole che gli ayatollah governino direttamente, come a Teheran. Teme che in tal caso la religione venga contaminata.
In sostanza Sistani ha consentito, anzi voluto le elezioni, grazie alle quali gli sciiti hanno legittimato il fatto di essere la maggioranza, dopo secoli di egemonia della minoranza sunnita; e adesso, sempre lui, Sistani, evita agli americani di diventare gli involontari portatori di un regime islamico nell´Iraq che vorrebbero democratico. Le elezioni si sarebbero rivelate in tal caso una beffa. Un´altra disavventura irachena per la Casa Bianca. Ad evitarlo, questo ulteriore infortunio, è anche il risultato ufficiale del 48 per cento. Il quale sembra autorizzato da Sistani.
E al tempo stesso per molti sciiti non riflette l´affluenza in massa alle urne di una comunità che rappresenta più del 60 per cento della popolazione.
Molto significativo, e altrettanto su misura, è il 13, 8 per cento ottenuto dal partito del primo ministro Ayad Allawi, Un quoziente che consente di determinare la richiesta maggioranza di due terzi. Allawi è uno sciita, ma laico. Quindi in grado di rassicurare i curdi, preoccupati da un´eventuale invadenza religiosa sciita che turberebbe i loro costumi, assai più disinvolti. Ma soprattutto il primo ministro in carica può, in quanto ex membro del partito Baath, intensificare i già avviati rapporti con la comunità sunnita, nel tentativo di recuperarla, almeno in parte. Al suo movimento (di Intesa Nazionale) aderiscono non pochi sunniti.
Come promotore e organizzatore delle elezioni, Ayad Allawi ha già vinto la prima partita. L´affluenza equivaleva a un referendum. Il 58 per cento ufficiale (più realistico del 72 per cento annunciato nelle prime ore, poi sceso al 60) è un quoziente più che dignitoso. Adesso però egli deve conservare la guida del governo che lo consacrerebbe come il vero, nuovo raìs.
E la sua maggiore carta è quella di essere appunto l´uomo più adatto per agganciare gli esponenti del partito Baath entrati nell´insurrezione armata.
La forte astensione dei sunniti è la sola soddisfazione della guerriglia sconfitta. Le fiammate di violenza degli ultimi giorni sono le prime rabbiose reazioni.
Nell´attesa della grande festa religiosa sciita (l´Ashura), gli attentati si moltiplicano contro i pellegrini diretti a Kerbala e a Najaf. L´obiettivo è sempre quello di accendere una guerra religiosa, che dividerebbe ancor più sciiti e sunniti. L´ayatollah Sistani l´ha finora evitata, trattenendo la sua comunità. Allawi deve spegnere questo vulcano che rischia di entrare in eruzione.
Adesso egli dispone di un´arma efficace. Un´arma di cui il nuovo governo, legittimato dalle elezioni, dovrebbe poter disporre abbastanza liberamente: il petrolio. Insieme alla nuova Costituzione, l´Assemblea appena eletta dovrà decidere anche l´eventuale suddivisione tra le varie province degli introiti provenienti da quell´immensa ricchezza naturale. Prigionieri del loro rifiuto, i sunniti rischiano di essere esclusi dal dibattito che sta per aprirsi. Alcuni di loro, non direttamente coinvolti nella guerriglia, ma forse non del tutto estranei ad essa, hanno deciso di riunirsi per decidere sul da farsi.
Partecipare o persistere nel rifiuto? Altri concorrono alla carica di primo ministro. Allawi non è il solo. Chi deciderà? Il libero confronto tra forze politiche? Quanto peserà la volontà americana? Anche la risposta a questi interrogativi servirà a misurare la dose di democrazia contenuta nei risultati elettorali appena annunciati.