Nei suoi dodici punti all’Unione Prodi nemmeno menzionava la riforma del sistema elettorale. Ma nel presentarsi al Senato per la fiducia questa riforma diventa la massima urgenza, la priorità prioritaria. Bene. A condizione, però, che il nuovo sistema elettorale risulti largamente «condiviso». Ancora una volta, bene. Ma condiviso da chi, tra chi? Tra tutti, ivi inclusi i «nanetti» (partitini, partitucci e cespugliotti), oppure dai partiti maggiori di entrambi gli schieramenti senza nanetti?
Nel primo caso l’esploratore di Prodi, il ministro Chiti, perde tempo in inutili girotondi. Lo sa anche il mio gatto che i nanetti combatteranno a morte qualsiasi riforma sensata, visto che qualsiasi riforma sensata ne deve richiedere la decapitazione. Pertanto se l’accordo risulterà gradito ai nanetti vorrà dire che il nuovo sistema elettorale sarà pessimo. Se invece i nanetti strilleranno a perdifiato, vorrà dire che è accettabile.
Ciò premesso, la sostanza del dibattito è un bailamme (grande confusione). I sistemi elettorali collaudati dall’esperienza, e che a mio avviso andrebbero bene anche per noi, sono tre: tedesco, francese e spagnolo. Quest’ultimo è un sistema proporzionale fondato su piccoli collegi. Piccoli vuol dire che eleggono press’a poco cinque rappresentanti per collegio. Il che pone una grossa difficoltà di applicazione: dovremmo ridisegnare tutte le circoscrizioni elettorali rimpicciolendole drasticamente. Sarebbe una rissa che mi sento di sconsigliare.
Il sistema francese è maggioritario a doppio turno. Berlusconi lo ha fucilato così (anche così): gli italiani si stancano di votare due volte. Ma non risulta. Il doppio turno è usato da noi per le elezioni comunali senza grandi sfinimenti. E poi, se i francesi non si stancano, perché noi sì? Siamo un popolo di debolucci?
Quanto al sistema tedesco, è un sistema proporzionale «personalizzato» con una soglia di sbarramento del 5 per cento. Fini lo ha fucilato così: «Sarebbe la tomba del bipolarismo». Vero o falso? Direi: falso. Tomba per quale ragione? Forse perché oggi la signora Merkel governa con una «grande coalizione»? Ma, in tutto, in Germania le grandi coalizioni sono state due: il che fa cinquant’anni di normale bipolarismo contro quattro anni di eccezione. Un po’ poco per spedire al cimitero. E se Fini sproposita deve essere perché non ha ancora capito cosa si deve intendere per bipolarismo.
Il bipolarismo a livello elettorale non dipende dal sistema elettorale. Tantovero che esiste in una diecina di Paesi, ivi inclusa la Germania, che sono proporzionalisti. Dal che si ricava che le distribuzioni bipolari del voto – se metabolizzate dall’elettorato – non possono più essere uccise dal sistema elettorale. L’altro punto è se il popolo sovrano, votando, elegge o no una chiara maggioranza. Se non la produce, allora il sistema parlamentare rinvia la soluzione dello stallo, appunto, alla sovranità del Parlamento. Punto e finito qui. Il di più viene dal maligno. Per esempio l’argomento che se le elezioni non producono una maggioranza «naturale», allora la dobbiamo produrre artificialmente con premi di maggioranza. Premi che però mantengono la frammentazione partitica come è, e che pertanto mantengono la «ingovernabilità da frammentazione» esattamente come prima. Il toccasana non sana nulla.
Allora, come si fa a identificare un buon sistema elettorale? Io mi affido alla «regoletta dei nanetti»: una riforma elettorale che piace a loro è sicuramente cattiva per il Paese.