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27 Febbraio 2008

La nostra strabica campagna elettorale

Autore: Luigi La Spina
Fonte: La Stampa

Era da quindici anni che i cittadini spagnoli non assistevano a un
duello tv tra i due candidati al governo del paese. Zapatero e Rajoy si
sono scontrati, l’altra sera, su tutti gli argomenti, dall’economia
alle riforme costituzionali, dalla politica sull’immigrazione a quella
nei confronti dell’Eta. L’unico sostanzialmente ignorato è stato
proprio quello che infiamma l’inizio della nostra campagna elettorale:
il dibattito sull’aborto e, in generale, la questione dell’etica
pubblica. Eppure, l’interventismo dei vescovi spagnoli nella
competizione politica è stato ben più deciso di quello che, finora, si
è manifestato in Italia da parte della gerarchia ecclesiastica. È stato
capace di mobilitare in piazza, a Madrid, un milione di persone, non ha
avuto remore a fare una scelta di campo precisa, esplicita e durissima
contro Zapatero, non si stanca, attraverso la potente radio della
catena Cope, di martellare l’appello ai cattolici perché impediscano la
rielezione del premier.

Il
confronto tra i temi e le caratteristiche delle due campagne elettorali
in paesi che, nonostante tutto, alcuni si ostinano a considerare
simili, indubbiamente colpisce. Anche perché in Italia tutti i sondaggi
convergono su una graduatoria di importanza e di motivazioni al voto
molto significativa: l’attenzione degli elettori si concentra, all’85
per cento, solo su tre argomenti che riguardano il tenore di vita, la
sicurezza e il Welfare, cioè la sanità, l’istruzione, l’assistenza.
Tutti gli altri temi, dall’aborto al conflitto d’interessi, dalle
riforme elettorali e costituzionali all’ambientalismo, sono relegati al
15 per cento delle preoccupazioni nazionali.

Non è facile capire
perché, in Italia, ci sia questo curioso strabismo tra gli argomenti
d’avvio di questa campagna elettorale e gli interessi più radicati e
complessivi della nostra società civile, in questo momento. I motivi
sono tanti, alcuni persino ovvi, altri più oscuri. Alcuni attengono
alla sfera dei nobili e apprezzabili turbamenti di coscienza, altri a
meno stimabili calcoli di convenienza partitica o personale. Bisogna
riconoscere a Giuliano Ferrara, innanzi tutto, una straordinaria
capacità di imporre al dibattito politico nazionale la sua personale
agenda. Così come alla Chiesa, pur nelle sue varie articolazioni e nel
confronto di strategie diverse, l’efficacia di una presenza pubblica,
magari meno vistosa di quella dimostrata in Spagna, ma più
condizionante in campagna elettorale. I brillanti risultati di queste
spinte convergenti, anche se non prive di contrasti interni, verso una
primazia della discussione pubblica sui temi dell’etica, però, derivano
essenzialmente dalle debolezze reciproche dei due maggiori contendenti,
dalle preoccupazioni di partiti e partitini di centro che rischiano
l’estinzione parlamentare, dalla confusione persistente e tipicamente
italiana tra la laicità dello Stato e il laicismo di Stato.

La
coesistenza di alcuni cattolici, anche integralisti, e di alcuni laici,
anche loro integralisti, nelle file del partito di Veltroni offre agli
avversari il terreno più facile per l’attacco propagandistico. Attacco
agevolato dalla competizione interna al Pd tra correnti ideologiche e
gruppi di potere che favorisce lo sfruttamento negoziale dello scontro
cattolici-laici al fine di assicurarsi i migliori posti in lista.
D’altra parte, le esitazioni e, poi, il rifiuto di Berlusconi
all’apparentamento con la lista di Ferrara, fa capire quanto il leader
del Pdl tema l’effetto di una spaccatura tra laici e cattolici nella
sua formazione. Per evitare di consegnare a Casini un vantaggio
identitario, nella guida di un partito totus cattolico, del tutto
sproporzionato rispetto al consenso elettorale.

La convenienza
dell’arcipelago di centro nello spingere la discussione elettorale sui
temi «dei valori non negoziabili», come li definisce la gerarchia
ecclesiastica, è talmente evidente da non rendere necessarie troppe
spiegazioni. Su questo argomento è più interessante il confronto tra
chi ancora non si rassegna all’idea di una dispersione dei «voti del
cielo», come li ha chiamati Massimo Franco in un suo bel libro, e chi,
invece, punta esclusivamente al rafforzamento della lobby cattolica
attraverso tutto l’arco delle forze politiche. Questione solo
apparentemente risolta con la vittoria di quest’ultimi.

Al di là del
vario peso di queste ed altre possibili motivazioni del curioso
«effetto etico» sui temi della campagna elettorale, resta l’impressione
di un generale arretramento del dibattito politico su questi temi. Da
una parte, non si capisce come la riflessione sulla morale pubblica a
proposito delle fondamentali questioni della bioetica, dell’identità
civile di una nazione nel riconoscimento di alcuni valori non possa più
fermarsi alla vecchia formula cavouriana della «Libera Chiesa in libero
Stato». Dall’altra, sfugge il pericolo che lo sfruttamento di alcune
apparenti convenienze elettorali rischi di produrre non una riconquista
cattolica, ma una sconfitta clamorosa e dalle conseguenza
imprevedibili. Tutto, comunque, nella sostanziale e profonda
indifferenza della società italiana. Perché è più facile schierarsi
sull’aborto, che indicare, in modo credibile, come far ripartire la
nostra economia.