2 Dicembre 2005
La nostra è una coalizione plurale
Autore: Rosanna Lampugnani
Fonte: l'Internazionale
Romano Prodi lo ha detto l’altro giorno ai leader di partito e lo ha ribadito ieri ai suoi più stretti collaboratori: «Faccio un gesto di generosità per dimostrare che la nostra è una coalizione plurale e non mi presenterò in tutte le regioni. Cederò quattro circoscrizioni ai segretari e ai presidenti di Quercia e Margherita».
Cioè a Fassino e D’Alema il Piemonte e la Puglia (dove il presidente diessino si presenterà per la Camera con le insegne dell’Unione e al Senato con quelle del suo partito), a Rutelli e Parisi il Lazio e la Sardegna.
In tutte le altre circoscrizioni capolista sarà, dunque, il candidato premier del centrosinistra. Il quale non è punto soddisfatto di non poter sfidare direttamente Silvio Berlusconi in tutta Italia.
Ma che tutto non vada secondo i desiderata lo si capisce anche perché Prodi ha dovuto cedere su un altro punto importante per la sua strategia politica.
Infatti nel documento finale stilato per delineare le strategie uliviste al termine del vertice di martedì mattina con Rutelli è scomparsa la parola partito democratico, sostituita dalla dizione più generica di «soggetto politico».
Nessuno ci ha fatto molto caso, ma ieri la frenata verso il partito democratica ha prodotto scintille nel corso di un dibattito a quattro voci tra Francesco Rutelli, Walter Veltroni, l’ingener Carlo De Benedetti e il presidente delle Acli Luigi Bobba.
Ebbene di fronte ad un parterre di prestigio il leader della Margherita si è diffuso nella descrizione del partito democratico che non sarà né laicista, ha detto, né confessionale, ma interamente democratico, a sovranità popolare ma quasi a futura memoria.
«Parliamo di idee e del progetto», ha insistito, «non di alchimie organizzative», che è come dire: non parliamo di partito.
Il messaggio, dunque, è risuonato forte e chiaro e a Rutelli ha subito risposto De Benedetti, presidente della Cir: «Serve uno choc per dire al Paese la verità, perché l’Italia è al collasso».
Ci vogliono immediatamente riforme radicali e profonde, indispensabili per dare un orizzonte al Paese. «E delle riforme fa parte anche il partito democratico».
Subito, quindi, e non domani, come si è fatto con la riforma del Tfr. Un intervento significativo, questo dell’editore di Repubblica, che nella sostanza ha offerto la sponda al sindaco di Roma per calcare la mano e parlare anche a Fassino, al «suo» segretario che, come Rutelli, ha innestato il freno sul partito democratico.
Ha concluso, dunque, Veltroni, affermando che «bisogna accelerare i processi, non ritardarli. Se, come spero, l’Unione vincerà le elezioni Prodi dovrà guidare una coalizione di nove partiti e questa sarà una sfida molto difficile se non si costruisce un soggetto omogeneo, un baricentro del 35%, senza i Ghino di Tacco, in grado di garantire la stabilità politica».
Un passaggio, quello finale, che lascia trasparire il sospetto, mai sopito, che alcuni alleati giochino la partita delle elezioni 2006 con un retropensiero che ha un nome e cognome: grande centro.