A CONCLUSIONE dell’esame del Documento di programmazione economico finanziaria (Dpef), il Parlamento si accinge ad approvare una risoluzione con cui (la sola cosa che conta) si stabilirà che il saldo netto da finanziare del bilancio dello Stato per il 2007 non dovrà eccedere i 29 miliardi. Non è dato conoscere, perché il Dpef non lo spiega, quale relazione vi sia fra questo saldo e il duplice obiettivo di operare l’anno prossimo una riduzione netta dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni dell’ordine di 20 miliardi (1,3 punti di prodotto, con un pari aumento della differenza fra entrate e spese al netto degli interessi) e un intervento lordo di 35 miliardi, di cui 15 dedicati a misure per lo sviluppo, o comunque a spese inevitabili ma prive oggi di finanziamento.
Di queste grandezze conviene occuparsi, per verificarne le implicazioni.
Sulla base di un’analisi rigorosa (e utile) dello stato e delle cause dei mali della finanza pubblica, il Dpef chiede un intervento immediato, non diluito nel tempo, e propone per esso la seguente strategia: manovra in prevalenza dal lato della spesa; provvedimenti, a tal fine, di riforma strutturale del pubblico impegno, del sistema pensionistico, della spesa sanitaria, del finanziamento degli enti locali, per aumentare l’efficienza e ridurre il costo di quei comparti; impegno a non ricorrere a espedienti temporanei (le cosiddette una tantum) o rozzi e inefficaci (come i tetti di spesa). Ottime e apprezzabili intenzioni. Ma in che cosa consisteranno queste riforme strutturali? E soprattutto: riusciranno esse già nel primo anno di attuazione a rendere 20 miliardi netti di miglioramento dei saldi più 15 miliardi da allocare ad altre voci di spesa? La risposta alla prima domanda è volutamente vaga, riconoscendo il Documento che non si dispone ancora di un piano dettagliato. Gli indirizzi esposti prefigurano comunque percorsi tecnicamente e politicamente non brevi: il che rende difficile trovare una risposta positiva ma plausibile alla seconda domanda. Proviamo a fare qualche rozzo conto.
La previsione per il 2007 delle entrate a legislazione vigente già include quelle ottenute con il recente decreto. Supponiamo che, per recupero di evasione o con altri provvedimenti, esse possano crescere di altri 5 miliardi. (Sembra poco, ma non lo è, perché l’aumento è al netto della riduzione derivante dalla promessa riduzione del “cuneo fiscale” sul costo del lavoro: al lordo, si tratta di 8-10 miliardi.). Ne segue che, rispetto alle previsioni a legislazione vigente (le quali tuttavia non includono oneri come quelli del rinnovo dei contratti per i dipendenti pubblici), le spese al netto degli interessi dovrebbero diminuire di una quindicina di miliardi, e ancor di più, in proporzione, per alcune voci, se si vogliono finanziare 15 miliardi di investimenti o comunque di provvedimenti per lo sviluppo.
Se ciò avvenisse, le spese sarebbero inferiori a quelle del 2006 di un punto e mezzo in termini di prodotto e di 2-3 miliardi in valore assoluto. Ora, a memoria di statistiche, non si è mai verificata una riduzione di spesa in valore assoluto da un anno al successivo, se non altro per la presenza di inevitabili fattori inerziali, del costo del rinnovo di contratti e di pur deboli meccanismi di indicizzazione: riduzioni analoghe in termini di prodotto (come nel 1994) risultarono tuttavia compatibili con aumenti di spesa in valore assoluto, grazie a un più rapido incremento del prodotto nominale (5.8% nel 1994, 2.8 nel 2007). Questi dubbi si rafforzano quando si cerchi di comprendere come possa essere modificata la legislazione per trasformare il pur modesto aumento di spesa del 2007 a legislazione vigente in una diminuzione rispetto al 2006.
Mission impossible, dunque? Probabilmente sì, se ci si ferma alla lettera, o piuttosto ai numeri programmatici del Dpef. No, in un orizzonte temporale più esteso. I numeri del 2007 difficilmente possono essere raggiunti, perché le promesse riforme strutturali non riuscirebbero a produrli tutti in una volta. D’altra parte, quelle riforme, proprio perché, se ben fatte, sono a rendimenti differiti e crescenti, devono essere attuate subito: e poco importa se i frutti saranno in parte raccolti un anno dopo. Questa possibilità il Governo sembra averla già messa in conto. “Si riserva di valutare (così conclude il Dpef) il percorso di rientro in relazione al profilo temporale degli effetti strutturali” delle riforme adottate, pur impegnandosi “a compiere con la prossima legge finanziaria tutti gli interventi necessari a portare l’indebitamento al di sotto del 3 per cento”: senza specificare, nel passaggio dai numeri alla prosa, quando ciò possa effettivamente avvenire. Forse anche Kant, di cui una citazione orna la pagina di guardia del Documento, sarebbe d’accordo.