14 Settembre 2004
La Margherita e il Professore
Autore: Claudio Sardo
Fonte: Il Mattino
«Voglio la Margherita del 2001. Quella forza ulivista che ho contribuito a fondare. Se alla festa di Polignano ho detto chiaramente ciò che non va, l’ho fatto proprio perché mi sento parte di questa famiglia». Anche ieri Romano Prodi è stato ruvido nel confronto con il vertice della Margherita. Nonostante l’invito alla prudenza di Francesco Rutelli: «Compito dei dirigenti è circoscrivere le differenze, non ingigantirle». Nonostante la prova del sostegno alla leadership di Prodi, che si è concretizzata nel via libera alla federazione dell’Ulivo. In realtà, le ferite di Polignano non sono rimarginate, perché Prodi vorrebbe che la Margherita si identificasse integralmente con il suo progetto e con la sua tattica. Che diventasse, insomma, il «partito di Prodi.
Invece, la Margherita vuole essere un partito autonomo. Un partito che sostiene Prodi, ma non si esaurisce nel supporto al leader (e domani al futuro governo). E su questo principio, alla festa di Polignano, si sono saldati i rutelliani con il grosso dell’area ex-popolare. «Non è possibile che quanti condividono in pieno il progetto di Prodi – ha detto il capo dei prodiani, Arturo Parisi – vengano considerati minoranza. Mentre nella maggioranza c’è posto per chi contesta la federazione dell’Ulivo e anche la leadership di Prodi». La questione degli equilibri interni, delle «garanzie» per i prodiani, è diventata uno dei piatti forti della doppia riunione di ieri (la prima parte alla presenza di Prodi, la seconda senza il Professore). In uno dei momenti di maggiore tensione, il rutelliano Dario Franceschini è sbottato: «Non potete prendervela con noi se avete perso il congresso». Ma a questo punto è intervenuto Franco Marini: «Dario, non dire cavolate. Il congresso è stato unitario e l’unità deve restare nel partito».
Proprio Marini sta assumendo il ruolo di mediatore e di garante. L’ha fatto anche nella riunione di ieri. Spiegando ai critici della federazione che «ora bisogna rompere gli indugi e farla davvero», ma dicendo a Prodi che non può chiedere alla Margherita di rinunciare alla sua identità e alle sue ambizioni. La prima: «Cercare di catturare voti moderati in uscita da Forza Italia». Allo stesso modo Marini, che vanta sulla carta i voti per formare un’ipotetica maggioranza con i prodiani oppure con Rutelli e gli ex popolari, ha dichiarato che userà il suo peso per stabilizzare una gestione «unitaria».
Marini è diventato così l’interlocutore numero uno di Parisi. Ma anche la difesa più robusta della leadership di Rutelli. Che sabato, a Monopoli, ha risposto colpo su colpo all’attacco di Prodi, ma ieri ha presentato la sua linea come un sostegno, e non come un ostacolo, alla leadership del Professore. Sulla candidatura di Prodi a premier la Margherita è compatta, ha assicurato Rutelli. Anche su federazione e primarie, «la decisione è presa». Alla federazione «siamo pronti a trasferire quote di sovranità». Ma, secondo Rutelli, non conviene neppure a Prodi che la Margherita si annulli in una convivenza forzata con i Ds, «perché quando esploderà la crisi di Forza Italia, la Margherita sarà più utile ad intercettare il voto moderato». Parisi ha contestato questa tesi: «Lo dicono anche i tuoi esperti di sondaggi che le elezioni si vincono facendo il pieno dei propri voti. E la Margherita ha solo da perdere accentuando un carattere centrista».
Rutelli, però, ha tenuto fermo il punto. Assicurando Prodi e Parisi che «nessuno vuol fare della Margherita un partito centrista». La tregua nella Margherita, se tregua sarà, potrebbe, insomma, fondarsi sul rafforzamento delle due leadership. Quella di Prodi, che ha ottenuto il via libera alla federazione e può ora rispettare gli impegni presi con Fassino e D’Alema. Quella di Rutelli, che ha respinto l’offensiva interna, mantenendo una posizione centrale nella Margherita. Infatti, il ruolo più critico nei confronti della strategia di Prodi è stato svolto da Ciriaco De Mita e da Lamberto Dini. «Sono il più convinto sostenitori della candidatura di Prodi a premier – ha detto De Mita – È il miglior uomo di governo che abbiamo. Ma deve occuparsi più di programma e meno di ingegnerie organizzative. Perché nel ’98 è stato fregato dalla scarsa coesione programmatica, non da altro». Dini, anche nella riunione di ieri, è tornato a lamentarsi per l’asse della coalizione «troppo spostato a sinistra». Ma questa obiezioni ha fatto arrabbiare Prodi: «È ridicolo accusare me di sbilanciare a sinistra la coalizione? Qui c’è gente che ha un passato di sinistra molto più esplicito del mio».