Girovagando per il Transatlantico di Montecitorio Paolo Naccarato,
sottosegretario a Palazzo Chigi e cossighiano dell’Unione, spiega il
motivo di quella bufera che nel giro di una settimana tutti i
potenziali capi del partito democratico hanno riversato sulla sinistra
massimalista.
Arturo Parisi sull’Afghanistan, Giuliano Amato sulla manifestazione di
Vicenza, Francesco Rutelli sull’ordine pubblico, Lamberto Dini che ha
intimato ai segretari dei partiti neo-comunisti di non partecipare alla
manifestazione del 17 febbraio e, perfino, lo stesso Romano Prodi che ha
richiamato la Cgil a vigilare con maggiore attenzione sulle nuove Br anche
se poi ha fatto recapitare dall’India messaggi rassicuranti per i vertici di
Rifondazione. «Il passaggio è stretto – spiega Naccarato riportando gli echi
delle discussioni a Palazzo Chigi -. Non si scherza più. Ad esempio, non
possiamo uscire dalla Nato e tutti si debbono rendere conto che in
Afghanistan la situazione è difficile. Se succede qualcosa ai nostri non
possiamo mica andarcene il giorno dopo. Ci vuole responsabilità. Se spezzoni
della sinistra radicale non voteranno al Senato l’odg di D’Alema, si aprirà
un problema politico. Non succederà anche se Dini si agita. Questo non
toglie che la sinistra massimalista deve sapere che ha di fronte solo
un’opzione: diventare una forza di governo consapevole. Altrimenti o apre la
strada al ritorno di Berlusconi o rischia di ritrovarsi schiacciata su
posizioni contigue con il terrorismo».
Ha proprio il sapore di un’«offensiva preventiva» quella lanciata dall’area
moderata dell’Unione. Simile, per fare un paragone azzardato, a quella
scatenata all’indomani dell’11 settembre da una delle bestie nere della
sinistra radicale, George W. Bush, contro il terrorismo. Proprio quel Bush
che ieri annunciando l’offensiva Nato di primavera contro i talebani ha
ringraziato per l’impegno proposto il governo dell’Unione facendo incavolare
qualche irriducibile anti-americano come il neo-comunista Salvatore Cannavò:
ma, appunto, al presidente Usa premeva rendere consapevoli gli alleati,
ed «in primis» l’Italia, di quello che sta per accadere a Kabul. A scanso di
equivoci e di sorprese.
Già, c’è un filo che lega tutti gli argomenti su cui l’area moderata
dell’Unione si è scatenata, un filo che unisce la manifestazione di Vicenza
al voto sull’Afghanistan, e magari domani la stagione dei contratti e le
pensioni. Lo «schema» è semplice: per dirla con le parole del capogruppo
dell’Ulivo a Montecitorio Dario Franceschini «o si sta al governo come si
deve, o si apre la strada al ritorno di Berlusconi». O peggio ancora, è il
corollario sottaciuto andato in scena questa settimana che mette insieme
nuove Br e manifestazione di Vicenza, si finisce su una posizione emarginata
politicamente, in una terra di nessuno, sul confine di quelle aree che fanno
da brodo di coltura al terrorismo. Ecco perché l’offensiva, per essere più
precisi, investe sì la sinistra radicale, ma ha nel mirino soprattutto quei
4-5 dissidenti che potrebbero mandare all’aria il governo nel dibattito
della prossima settimana al Senato sulla politica estera.
Non per nulla tra
i più intransigenti sostenitori della linea della «consapevolezza» è quel
ministro della Difesa che in questi mesi più di una volta si è trovato tra
l’incudine e il martello. «Non possiamo – si è sfogato con i suoi Parisi –
cambiare posizione ogni 15 giorni. Mi hanno investito di critiche quando ho
detto che la missione in Afghanistan presumibilmente finirà nel 2001. Ma è
una scadenza scritta anche sui siti della Nato. Eppoi noi abbiamo più uomini
in Kosovo, ci stiamo anche da più tempo, dal ’98, e abbiamo gli stessi
compiti che a Kabul. Queste polemiche ci indeboliscono anche all’estero: con
quale forza possiamo proporre la conferenza di pace ai nostri alleati se
siamo appesi ad un filo? Ci vuole più consapevolezza perché dall’Afghanistan
non ce ne possiamo andare e un incidente può sempre accadere per cui bisogna
essere pronti a gestire anche situazioni di emergenza».
Un discorso sincero che punta a risolvere le contraddizioni di questa
maggioranza, «stringendo» la sinistra radicale e «normalizzandola». Che la
posta sia questa se ne sono accorti tutti. Gli spettatori più attenti
dell’opposizione come Gianfranco Fini che spiega: «L’area moderata
dell’Unione è stata sotto lo schiaffo della sinistra antagonista per tanto
tempo e ora che quest’ultima è in difficoltà, ne approfitta per dirgli che
la ricreazione è finita». E, naturalmente, i bersagli dell’intera
operazione, cioè la sinistra radicale. «E’ in atto un’escalation – conferma
il capogruppo di Rifondazione Gennaro Migliore – su cui il governo rischia
di andare a sbattare. Puntano a limitare la nostra agibilità politica:
sull’Afghanistan, ma anche sul contratto dei metalmeccanici, o sulle
pensioni. Sbagliano però se pensano di ridimensionarci. In più rischiano di
dare un ruolo a realtà che sono sempre stati marginali e di assumere
posizioni paradossali: ma vi pare che la solidarietà alla Cgil alla Camera
l’ho sentita dare solo da Gasparri? Vogliono farci pagare la nostra vittoria
al vertice di Caserta». «Hanno maturato – gli fa eco Angelo Bonelli,
capogruppo verde – un’insofferenza verso di noi. Come il vecchio Pci, quel
gruppo che è attorno al partito democratico vuole avere l’egemonia a
sinistra, magari facendo leva sui rapporti economici che ha, o sugli
apparati».
Stretta in un angolo per il momento la sinistra radicale tenta di
tergiversare. Diliberto se la prende con Berlusconi per creare un diversivo.
Bertinotti dichiara che se non fosse stato presidente della Camera sarebbe
andato alla manifestazione di Vicenza, ma nel contempo conferma che il
governo non si tocca. Giordano fa barriera sulle pensioni. Insomma, tenta di
tenere i nervi saldi, ma l’offensiva non si arresterà. «Li stanno
provocando – ammette il diessino Giuseppe Caldarola – perché per fare il
partito democratico debbono dire che vogliono costruire un argine contro
la sinistra radicale». «Gettano benzina sul fuoco – gli va dietro Gianni
Pettinari della minoranza della Quercia – ma mettono nei guai quelli che
dovrebbero fare da argine ai più estremisti a Vicenza».
Argine contro
argine: alla fine quale crollerà?