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23 Luglio 2007

La Forleo, Unipol e i politici

Autore: Carlo Federico Grosso
Fonte: La Stampa

Le due
ordinanze con le quali Clementina Forleo, giudice per le indagini preliminari di
Milano, ha dichiarato la rilevanza processuale di conversazioni telefoniche
intercorse, nel giugno-luglio 2005, fra personaggi interessati a scalate
societarie e alcuni parlamentari ed ha pertanto chiesto alle Camere
l?autorizzazione ad utilizzare dette conversazioni in un processo penale in
corso, hanno avuto, com?era inevitabile, ampia risonanza e suscitato vibrate
reazioni. Al di là dei risvolti politici preme, innanzitutto, cercare di
ricostruire il quadro giuridico all?interno del quale è maturata la decisione
del giudice e la sua specifica, peculiare, motivazione.

I parlamentari non
possono essere direttamente intercettati. Se sono intercettati quando comunicano
con utenze terze, le loro conversazioni possono essere utilizzate nel processo
penale se sono giudicate rilevanti dal giudice penale e se la loro utilizzazione
è autorizzata dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere di Camera o Senato.
In caso contrario devono essere distrutte. Di qui la procedura, di per sé
corretta, instaurata dagli uffici giudiziari milanesi. La Procura della
Repubblica ha chiesto di potere utilizzare alcune conversazioni in quanto, a suo
giudizio, esse erano rilevanti per confermare le imputazioni per aggiotaggio
elevate nei confronti di taluni indagati e dimostrare l?eventuale commissione,
da parte loro, di un nuovo reato. Il giudice ha concordato sulla loro rilevanza
processuale ed ha pertanto disposto la loro trasmissione alle Camere per
l?autorizzazione.Fin qui nessun problema.

Il problema nasce perché il giudice non
si è limitato a ritenere che tali conversazioni fossero rilevanti nei confronti
degli imputati che figuravano come tali secondo le valutazioni dei pubblici
ministeri, ma è andato oltre le loro richieste, sostenendo che taluni dei
politici implicati nelle conversazioni, non indagati, apparirebbero «consapevoli
complici di un disegno criminoso di ampia portata in una logica di manipolazione
e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale».Ma è davvero
legittima quest?autonoma presa di posizione di un giudice in un processo penale,
come il nostro, che riserva al pubblico ministero la competenza a formulare le
imputazioni e prevede che il giudice si limiti a decidere sulle sue richieste?
Ne dubito. Il nostro sistema, sul punto, sembra chiarissimo. Il Codice di
procedura penale stabilisce, da un lato, che il solo pubblico ministero è
competente a formulare le imputazioni ed eventualmente a modificarle nel corso
del processo. Dispone, dall?altro, che il giudice delle indagini preliminari
provvede «sulle richieste» del pubblico ministero e delle parti private. Non ha,
pertanto, competenza in materia di configurazione dell?imputazione e di
esercizio dell?azione penale.

Clementina Forleo non aveva pertanto titolo per
scrivere, nella motivazione dell?ordinanza emessa, che le conversazioni
intercettate erano rilevanti nel procedimento penale in corso, in quanto
consentivano di procedere penalmente nei confronti dei parlamentari intercettati
(non indagati, né indicati come indagabili dalla Procura della Repubblica). Nel
provvedere sulle richieste del pubblico ministero era, soltanto, autorizzata a
valutare se le esigenze probatorie a carico dei soggetti già indagati, indicate
dalla pubblica accusa, sussistevano o no, e ad operare di conseguenza. Sulla
base delle convinzioni maturate sarebbe stata, ovviamente, legittimata, se non
addirittura obbligata, a segnalare ai pubblici ministeri le sue ulteriori
valutazioni di reità, invitandoli ad assumere le conseguenti determinazioni: una
nuova, eventuale, richiesta di utilizzazione delle intercettazioni
specificamente motivata alla luce dell?esigenza di procedere anche nei confronti
dei parlamentari. La strada legittimamente percorribile era, comunque, ben
diversa da quella percorsa.

Comprendo pertanto le vibrate reazioni di una parte
del mondo politico allo specifico tenore dell?ordinanza. Non condivido invece le
doglianze, avanzate ieri addirittura dai presidenti delle due Camere, contro la
pubblicazione del suo contenuto da parte dei giornali prima ancora che il
provvedimento giungesse in Parlamento. L?ordinanza, dopo il suo deposito in
cancelleria, non era infatti più atto segreto ed il suo contenuto poteva
pertanto essere liberamente pubblicizzato. Di che ci si duole, pertanto?
Dell?esercizio, forse, del diritto-dovere dei giornalisti di informare?Questione
diversa da quella trattata è, ovviamente, l?asserita efficacia delle
conversazioni intercettate ad indiziare i parlamentari interessati. Non intendo
affrontare quest?ulteriore problema, tanto più che, come legale di Piero Fassino
da oltre vent?anni, potrei essere accusato di partigianeria. Dirò soltanto che
l?accusa penale, specie per chi, nelle intercettazioni, risulta non avere
apportato nessun contributo attivo alla realizzazione del piano, ma avere
avanzato semplici richieste di informazione manifestando tutt?al più personale
apprezzamento per le condotte da altri compiute, mi sembra quantomeno singolare.
Poiché è bene che nessuna ombra scavi ulteriori solchi tra politica e cittadini,
il Parlamento eviti ora, comunque, una chiusura a riccio nella difesa
corporativa delle sue prerogative. Conceda, rapidamente, l?autorizzazione
all?utilizzo delle intercettazioni. La giustizia faccia, altrettanto
rapidamente, il suo corso.Semmai, degli atti dell?incontenibile giudice Forleo
si occupi chi, per competenza, è legittimato ad occuparsene.