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29 Luglio 2004

La Costituzione al mercato

Autore: Giovanni Sartori
Fonte: Corriere della Sera

È uscita di recente una raccolta di scritti del grosso dei nostri costituzionalisti che risultano pressoché unanimi – 60 su 63 – nel valutare negativamente e con fortissime riserve la riforma costituzionale in corso. Il titolo del volume è Costituzione: una riforma sbagliata (a cura di Franco Bassanini, Passigli editore), e il titolo dice già tutto. E non si tratta di un volume di sinistra. Il grosso dei costituzionalisti è costituito da studiosi che si occupano del loro mestiere. E poi le Costituzioni non sono né di destra né di sinistra; sono riuscite o malfatte, funzionanti o no. Dunque, per gli esperti il disegno di legge 2544 non va, non è accettabile. E in un Paese serio un massiccio verdetto negativo dei costituzionalisti – di chi di Costituzioni si intende – farebbe rumore, verrebbe ampiamente ripreso dai media, e metterebbe in difficoltà il governo. Ma da noi finora non si è mossa foglia.
L’altro giorno origliavo da una serratura della presidenza del Consiglio a Palazzo Chigi, e ho captato queste frasi: i costituzionalisti Chi sono Cosa vogliono Perché «rompono» No – correggo – questi brani di conversazione non li ho veramente sentiti. Ma un sesto senso mi assicura che quel dire è autentico, che questo è davvero il sentire del Palazzo. Perché il Palazzo non vuole consigli e non vuole estranei (gli esperti) tra i piedi. Non è che Berlusconi, Bossi (o l’odontoiatra che ora lo sostituisce, il neoministro delle Riforme Calderoli) si intendano di Costituzioni: non ne sanno proprio niente.
Berlusconi non ha mai spiegato al Paese perché il federalismo bossiano vada bene, non ha mai risposto a nessuna critica. Dice soltanto: si deve fare perché l’ho promesso. Che gentiluomo! Troppo gentiluomo. In verità, agli elettori Berlusconi ha solo promesso una riforma federalista più avanzata. Ma gli elettori non conoscevano il testo federalista prodotto due anni dopo dai cosiddetti «saggi di Lorenzago». E dunque quel testo non costituisce un impegno elettorale.
La prosaica realtà, allora, è che per la trinità Berlusconi-Bossi-Fini la riforma dello Stato si risolve in un mercato delle vacche: una vacca a te in cambio di una vacca a me, e poi vacchine un po’ a tutti (una anche a Bruxelles) per comprarli e tenerli contenti. A Berlusconi della devolution non importa nulla. Bossi gli chiede questa vacca, e lui gliela dà. In cambio ottiene due vacche per sé: l’intoccabilità in questa legislatura e, meglio ancora, la grossissima vacca del «premierato assoluto» (uno strapotere che i soliti rompiscatole, i costituzionalisti, condannano non meno della devolution) per le legislature che verranno. E questo è il quadro di insieme nel quale inquadrare da un lato lo «strappo» di Follini e, dall’altro, lo spregiudicato «manovrismo» di Fini.
Secondo me, Fini manovra e basta. Prima produce con Bossi una legge restrittiva sull’immigrazione, e poi ne rimangia lo spirito proponendo una cittadinanza facile. Prima si fa sostenere da Follini nell’assalto a Tremonti, e poi isola l’Udc per tornare a fare il berlusconiano di ferro. Da An ci dovremmo aspettare una difesa dello Stato unitario, e invece ora Fini preme su Follini perché voti la devolution. E la vacca Fini ne intravede due: o la eventuale successione a Berlusconi, o l’ascesa al Quirinale. Quanto a Follini, per lui (è il solo) non ci sono vacche in vista. Lui rischia per difendere buone cause. Speriamo che gli elettori se ne ricordino anche se finirà sconfitto.
Ero partito per dire che una Costituzione che ignora i costituzionalisti può soltanto riuscire male. Poi il discorso sulle vacche mi ha un po’ preso la mano. Ma il nesso c’è; e al buon lettore non dovrebbe sfuggire.