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29 Ottobre 2004

La Carta dei popoli e dei cittadini

Autore: Andrea Manzella
Fonte: la Repubblica

Cosa cambia per il mondo E´ questa la domanda giusta per arrivare a capire il significato della Costituzione europea che si firma oggi a Roma. La risposta è che cambia molto. Non solo perché i Kissinger internazionali che vogliono chiamare l´Europa avranno finalmente nel ministro degli Esteri dell´Unione il «numero di telefono» che cercavano invano. Non solo perché i bisogni di sicurezza e di difesa degli europei trovano ora il quadro istituzionale che non avevano mai avuto. Non solo perché, per la prima volta, una regione multistatale da spazio economico diventa anche spazio di diritto. Ma soprattutto perché, accettando l´idea di Costituzione, i 25 capi di Stato e di governo esprimono una coscienza di unità.


Le Costituzioni sono, nella loro essenza, appunto questo: l´espressione di unità di una comunità politica. Questa volta, della comunità più grande che mai si sia vista: 450 milioni di cittadini in terre dove si è formato il pensiero critico, la forma della politica, la storia dell´Occidente. E´ in questa manifestazione di coscienza unitaria la rivoluzione che interessa il mondo. Perché esso dall´Europa unita si attende contributi di ordine nel disordine dei continenti. Capacità di correzione alle degenerazioni della globalizzazione. La tutela della diversità contro l´omogeneizzazione delle culture. La forza di persuasione alla pace, propria di chi ha fatto troppe guerre per credervi ancora. Con un´Europa costituzionalmente unita, cambia, dunque, per il mondo, in meglio, la cosa più importante per tutti: le aspettative nel futuro. Cioè la speranza.

Il punto di vista migliore per capire l´Unione è dunque quello della non-Europa. Rispetto ad esso le visioni dall´interno sono malate di una straordinaria miopia: il dito invece della luna, l´albero invece della foresta. Fu un grande giornale americano, il giorno in cui fu introdotto l´euro, a dire che quello era il giorno più importante d´Europa da quando, il 24 ottobre 1648 a Westfalia, nacquero gli Stati nazionali.

Ora c´è questo 29 ottobre, a Roma, dove tutto cominciò con un trattato costruttivo di istituzioni comuni e dove ora un altro trattato «adotta» addirittura una Costituzione. Davvero qui c´è l´addio a Westfalia: all´Europa atomizzata degli Stati nazionali, ciascuno con la sua diversa Costituzione.

Ma non nasce un super-Stato e neppure una unione di Stati, secondo il modello federalista. Nasce una cosa più intensa: una unione di Costituzioni.

La Costituzione di ciascuno degli Stati membri si integra con una Costituzione comune, trasversale: la Costituzione europea appunto. Ma questa non ha propria autonomia se non in connessione agli ordinamenti costituzionali degli Stati nazionali. E questi sono ormai comprensibili solo se «letti» nella cornice di un ordinamento costituzionale europeo.

Non è, dunque, quella che oggi si firma una Costituzione «senza Stato». E´, al contrario, una Costituzione «con molti Stati». Non è una Costituzione «senza popolo». E´ una Costituzione «con molti popoli».

La legittimazione dell´Unione e dei suoi poteri deriva da questo meccanismo di integrazione, di mutuo riconoscimento. La Costituzione europea ha una legittimazione perché partecipa della legittimità delle Costituzioni nazionali. Così come la democraticità delle istituzioni europee è assicurata non solo dal parlamento di Strasburgo ma anche dal loro collegamento con le istituzioni democratiche nazionali (parlamenti nazionali, consigli regionali, locali).

Ci possono essere – e ci sono – problemi di interconnessione, di coordinamento, di trasparenza, di capacità decisionale, solo in parte risolti dal testo costituzionale. E da questo punto di vista la Costituzione europea è solo «l´ordinamento di un processo di integrazione» destinato a non finire mai. Ma si coglie il senso vero dell´Unione, la sua intima natura solo se si ha presente questo suo «insieme». L´Unione non è qualcosa di separato che si sovrappone agli Stati nazionali che ne sono membri. E´ qualcosa che ad essi si intreccia.

L´Unione non ha bisogno concettualmente di un «suo» popolo, perché questo è formato dai popoli di ciascuno Stato nazionale. I popoli che diventano corpo politico unificato nel momento più alto della cittadinanza: quello del voto nella rete europea di assemblee elettive (dai più piccoli consigli comunali al parlamento europeo). I popoli che si fanno unico corpo politico nel momento in cui mettono assieme i loro spazi pubblici: come avvenne nelle immense, profetiche manifestazioni di massa in tutta Europa, sotto la stessa bandiera della pace, prima che scoppiasse, piena di sciagure, la guerra in Iraq.

Questo processo di sussidiarietà costituzionale – il reciproco scambio di legittimità dalle costituzioni nazionali alla Costituzione europea e viceversa – fa piazza pulita della vecchia litania sul deficit democratico dell´Unione.

E spazza via anche la nuova filastrocca – accreditata da una certa sinistra, antagonista a se stessa – sul presunto carattere neo-liberista del Trattato costituzionale. Accusa di per sé assurda: perché sono le scelte politiche concrete e non quelle costituzionali, di quadro istituzionale, a dare l´indirizzo economico e sociale all´Unione. Ma accusa anche non vera: dato che la libera circolazione dei diritti nel grande sistema senza frontiere, la «lettura» delle comuni esperienze di privatizzazione e di servizi pubblici, di protezione sociale e di cultura del lavoro, di commercio internazionale condizionato a «clausole etiche»: hanno già creato un modello sociale europeo.

Un modello che è ancora insufficiente rimedio rispetto agli «orrori» della mondializzazione. Ma che non può certo confondersi con essi, in un bizzarro equivoco tra medicine e malattie.

Per tutto questo, la firma di Roma non è dunque un atto formale. Non lo è perché riassume in sé tutte le ragioni del costituzionalismo sovrastatuale.

L´unica forma possibile di autonomia della politica rispetto alle imposizioni dei mercati senza volto e al determinismo delle mutazioni tecnologiche. Non è atto formale anche perché tutti, e ciascuno, i 25 governi che si assumono oggi questa responsabilità, lo fanno con una pienezza di rappresentanza democratica (per elezioni dirette, per maggioranze parlamentari) che si è esaltata e non spenta nel lungo e travagliato processo costituente che ha preceduto questo giorno. Un processo per nulla tecnico ma tutto immerso nella storia di questi ultimi anni europei: basti pensare alla svolta spagnola, dopo il sangue di Madrid.

L´ossessione dei problemi – che ci sono – delle ratifiche future, tende a fare svalutare il valore delle intense responsabilità che con questa firma si assumono. Questa sottovalutazione è un errore. C´è già una misura di irreversibilità nell´atto di oggi. Poi potrà venire il tempo dei giuristi per calcolare gli effetti e le possibili salvaguardie contro qualche mancata ratifica.

La decisione del governo italiano – confortato dal consenso dell´opposizione e dall´incoraggiamento del Capo dello Stato – di inviare subito in Parlamento il trattato costituzionale, è mossa dalla esatta valutazione di questo finale di partita. Il campionato è ancora lungo, certo.

Proprio per questo è inutile andare ai tempi supplementari ora che si è arrivati a questo risultato costituzionale: in cui gli elementi positivi sovrastano largamente quelli negativi.

Da Strasburgo, il Parlamento europeo, con straordinario tempismo, ha fatto la sua parte, affermando la sua forza. Ed ha avvertito anche quelli che credevano, ancora, nella favola dell´«Assemblea consultiva», che la vita democratica dell´Europa è già da tempo cominciata. Che l´Unione è già un organismo e non un meccanismo. Una Costituzione, appunto.