Sconcerto, gelo, colpi di gomito increduli nelle prime tre file degli stati
generali della Confindustria, nell´immensa sala della Fiera di Vicenza. Si
guardano tra loro interrogativi, impallidiscono, non vogliono crederci
Montezemolo, Tronchetti, Della Valle, Pininfarina, Monti, Colaninno jr., Abete,
Amato, Marzotto, Carraro, Emma Marcegaglia, Calearo.Neelie Kroes, commissaria
europea alla Concorrenza, e Günter Verheugen, commissario per le Imprese e
l´industria, si interrogano: «What´s piscem?».
Persino Tognana, ex
vicepresidente con D´Amato, si stropiccia gli occhi. Ferruccio De Bortoli, sul
palco, come annichilito, non muove una ruga e freme. Ma il grosso della platea,
dalla decima fila in giù, non meno di mille uomini in gessato e donne strizzate,
va in visibilio. «Silviooo Silviooo Silvioo…» intonano i duecentocinquanta
personaggi accreditatisi mezz´ora prima dell´arrivo inatteso del premier, che
era ufficialmente bloccato dalla sciatalgia provocata a suo dire dallo scontro
con una cattivissima sindacalista comunista della Cgil.
Sono le truppe
cammellate del presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan e del suo spin
doctor Franco Miracco, ex comunistissimo collaboratore precario del Manifesto,
assistite all´esterno da una flotta di furgoni materializzatisi dal nulla con
manifesti 6×3 di Berlusconi e della Lega. Si riconoscono, i cammellati, per i
fumo di Londra da grande magazzino e gli occhiali scuri, nella zona con la
migliore acustica, a sinistra del palco.
Il vicepresidente Andrea Pininfarina,
che sembra un ufficiale tutto di un pezzo del Piemonte Cavalleria, ancora non si
dà pace per il buco nell´organizzazione che ha consentito l´ingresso degli
«scherani».
Il «piscem» berlusconiano d´apertura del “sabato bestiale” della
Confindustria, nella storiella originale sarebbe per la verità una «carpam» e il
vescovo evocato dal premier un parroco di campagna.
Ma l´aneddoto d´apertura del
presidente del Consiglio della settima potenza industriale del mondo se lo
volete testuale, è questo: «Un vescovo del Medioevo mangia una bistecca di
venerdì. Gli dicono: vescovo, è peccato. E lui: bistecca, ego te baptizo
piscem».
Si guardano interrogativi Verheugen e Kroes. Ma è il seguito che lascia
stravolte le prime file e, per la verità, anche le seconde: «Io che sono
ministro della Salute ad interim, mi sono battezzato in salute». Mi sono
battezzato, come il Vescovo, come il Papa. Mi sono guarito, posso persino
questo. Non sanno, gli astanti allibiti, che il meglio deve ancora venire.
Quando l´inappuntabile De Bortoli richiama i minuti concordati per gli
interventi, il presidente del Consiglio scatena l´inferno in un´aula che per
trentasei ore era stata il tempio dello stile e del politically correct.
Citizen
Berlusconi, rivolto a De Bortoli, scatta in piedi, gonfia il petto, e con voce
roca per l´iracondia incontrollata, declama che i giornali sono un «pericolo per
la democrazia» tutti, non solo Repubblica e il Corriere della Sera, ma La
Stampa, Il Sole 24 Ore, perfino Il Messaggero, asservito, come lascia intendere,
al suo socio traditore Pier Ferdinando Casini.
Per non dire della radio della
Confindustria, noto organo rivoluzionario, che getta fango quotidiano sull´opera
ineguagliabile del suo governo. «Non credete ai giornali che parlano di
declino», urla col petto in fuori. «I giornali sono un pericolo per la
democrazia». Comunisti e giornali «vogliono solo andare al potere, considerano
il profitto sterco del diavolo». Lui è «stanco, stanco». Non ne può più. Per
aiutarlo bisogna «lavorare di più e venire meno in Confindustria».
Applausi che
sommergono i fischi. «Silviooo… Silviooo…», dal settore degli infiltrati di
cui Pininfarina non si dà pace. Tutto fino a quel momento si era svolto con
democratica signorilità.
Giulio Tremonti, forzando il suo carattere era stato un
signorino educato. Il peggio che aveva detto, col suo solito acuto effetto
sonoro, era che «La sinistra in cachemire circola per i casali toscani», come se
lui, fiscalista principe, vivesse un una baracca, suscitando l´applauso dei
forzati del nord-est, che non indossano cachemire, come l´odiato Bertinotti, ma
girano in Maserati e in Porsche Cayenne.
«Il cavaliere inesistente», come era
stato soprannominato il Cavaliere nell´assise vicentina dopo aver annunciato il
forfait per sciatalgia, s´è materializzato a scompaginare le carte, annunciando
di aver aumentato tutto «anche le nascite», forse nel più importante bluff di
tutta la sua vita. Colpo di scena a tavolino? O «stato confusionale» come l´ha
bollato Andrea Pininfarina col tono dell´ufficiale del Piemonte Cavalleria?
Stato confusionale senza dubbio è stata la generale diagnosi nelle prime file
dei Poteri forti, ma anche nelle seconde file degli imprenditori veri, dispersi
fra le truppe cammellate, dopo l´assalto a Diego Della Valle, colpevole di aver
scosso la testa mentre il Vescovo dei «piscem» snocciolava i suoi dati
sull´Italia che va alla grande, che mai ha goduto di questo prestigio
internazionale, che ha fatto arricchire tutti con la crescita del valore delle
aziende e delle case.
«Della Valle, la prego di dare del lei al presidente del
Consiglio», gli intima il premier del settimo paese industriale al mondo,
rimproverandogli gli «scheletri nell´armadio» che lo inducono a parteggiare per
i comunisti, per salvarsi chissà da quali accuse con l´aiuto della «magistratura
rossa». Berlusconi urla e urla, si fa livido, la claque gli grida dietro:
«Silvio… Silvio…».
Montezemolo continua a sbiancare. Gli sediamo vicino, nel
posto lasciato libero da Berlusconi che se ne va tra gli inni da stadio del suo
popolo di partito «convocato». Sospira Montezemolo pallido, sconvolto: «Per
carità, non mi fate dire, rispettiamo le istituzioni. Tutte le istituzioni,
compreso il presidente del Consiglio».
Spunta dalla prima fila Mario Carraro,
industriale dei trattori, ex presidente degli industriali veneti, signore assai
acuto di una certa età, che ha un nitido ricordo del passato. E recita: «Alcune
volte, nel riferire le visite in provincia del federale, si usa la frase: il
capo del fascismo. La frase non è appropriata, dato che c´è un solo capo del
fascismo». E´ una direttiva del Minculpop del 13 settembre 1941. Gli sembra di
essere tornato a quei tempi e non si rassegna. Ricorda che non c´era la tivù, ma
le veline dell´agenzia Stefani. Il 25 luglio però, appena appresa la notizia
delle dimissioni di Mussolini, Mario Morgagni, che aveva inventato l´agenzia del
fascismo, si suicidò.
Suicidi, di certo, non ci saranno nei giornali italiani,
dopo la performance del premier a Vicenza. Ma una cosa è certa: la
Confindustria, per le prossime elezioni, non ha bisogno di fare endorsement. Per
Montezemolo l´ha già fatto Berlusconi.