ROMA — Sono alcuni degli stessi compilatori a definirla «bizantina». Stando ai fatti, però, quella che oggi il centrosinistra presenterà in Parlamento in tema Iraq sarà una mozione unitaria. Dopo una serie di riunioni — di partito, interpartitiche, fra partiti e pacifisti vari — la Gad (Grande Alleanza Democratica) ieri ha deciso di chiedere al governo che si attivi per «la sospensione dei bombardamenti delle città irachene»; che concorra «all’esito positivo della conferenza internazionale di pace»; che sostenga «la sostituzione delle forze di occupazione con forze multinazionali sotto egida Onu». Ma, a costituire il punto più qualificante, nel testo si chiede l’impegno a «disporre il rientro del contingente militare italiano».
La posizione è apparentemente in linea con quella esposta l’11 ottobre da Prodi dopo un vertice dell’alleanza, e la presenza nel testo del «ritiro» delle truppe soddisfa grandemente Correntone, Verdi, Comunisti italiani, Rifondazione. Però due settimane fa sembrava che la discussione parlamentare sarebbe slittata a dopo la conferenza di Sharm el-Sheik o, almeno, a dopo le elezioni americane; questo era l’auspicio della maggioranza dei Ds, di Margherita e Sdi. Alcuni argomenti hanno invece portato a una accelerazione. Aspettare il voto Usa è stata l’«arma» usata per convincere gli attendisti, potrebbe rivelarsi più rischioso: se vincesse, Kerry potrebbe infatti introdurre sull’Iraq atteggiamenti insidiosi per il centrosinistra italiano e la divisione diventerebbe più evidente.
Dunque, si vada in aula. E, se le diversità di opinioni sul ritiro dei soldati italiani restano, sia l’arte delle parole ad avere la meglio. Tutto si è giocato allora sulla formula lessicale: la Margherita e parte dei Ds premevano perché si scrivesse che, con un chiaro riferimento al quadro generale (conferenza internazionale di pace, intervento Onu), era «da prevedere » il rientro delle truppe (così si era espresso Prodi al vertice di 15 giorni fa); gli altri però hanno ottenuto una frase più secca e non rigidamente collegata al resto: «Il governo si impegni a disporre il ritiro».
Una disciplina di alleanza ha portato tutti ad accettare la versione più radicale. Ma i distinguo restano. Infatti, se immediatamente dopo l’annuncio tutti proclamano evviva, di lì a poco affiorano i nervosismi. Dalla Margherita i rutelliani, con Paolo Gentiloni, fanno subito sapere che «la scelta dei tempi di questa mozione è infelice. A pochi giorni dalle elezioni americane, non c’era bisogno di certificare una posizione». E Franco Marini si abbandona a un laconico: «Devo accettarlo…». Piero Fassino, segretario dei Ds, vuole invece girare in positivo quell’accordo, che Ugo Intini (Sdi) non si sente di giudicare nulla di più di «un punto di equilibrio accettabile»: «Questo testo traduce alla lettera le conclusioni di Prodi dell’11 ottobre. Diciamo che è necessario convocare la conferenza di pace, far svolgere elezioni democratiche in Iraq, sostituire le forze nazionali con quelle Onu».
Le parole e i collegamenti tra di esse possono avere interpretazioni diverse, ma alla Camera oggi la Gad va unita. Con tutta probabilità ci saranno 3 illustrazioni della posizione (Violante per i Ds, Castagnetti per la Margherita, Intini per lo Sdi), ma poi sarà un solo capogruppo a fare la dichiarazione di voto. Si discosta solo l’Udeur: in un primo momento sembrava che avesse aderito; ma poi si è chiarito che non aveva neppure partecipato alle riunioni di ieri, tanto meno alla firma del documento.