Care amiche, cari amici di Cagliari e della Sardegna, care amiche, cari amici dell’Ulivo, grazie, grazie di essere qui oggi. Avevano detto che quella di ieri sarebbe stata una giornata di violenza, di scontri, di odio.
Lo avevano detto sui giornali, lo avevano detto alle televisioni. Perché a loro, le televisioni non mancano. A loro le televisioni non negano lo spazio.
Ma si sono sbagliati. Una volta di più, hanno avuto torto.
L’Italia ha dimostrato, noi abbiamo dimostrato, che si puo’ amare la pace, dire di no alla guerra, e, allo stesso tempo, amare l’America. Quell’America che, sessant’anni fa, mando’ i suoi giovani a morire per la nostra liberazione.
“Una guerra che non avrebbe mai dovuto cominciare”.
Questo ho detto fin dal primo giorno. Questo ho ripetuto, con coerenza, anche nei giorni dell’euforia, nei giorni della vittoria. Una vittoria, peraltro, dichiarata con troppa fretta e troppa imprudenza.
Ma non ho esitato, pochi giorni fa, a scrivere al Presidente Bush. Al Presidente Bush ho voluto dare il benvenuto. Benvenuto In Europa e in Italia perché veniva a ricordare gli avvenimenti di sessant’anni fa, la liberazione del nostro continente, del nostro paese. Perché veniva ad onorare la memoria di quei tanti, tantissimi ragazzi che persero la loro vita per liberare le nostre terre. Gli ho detto che la nostra riconoscenza per l’America è viva come in quei giorni del 1944.
E non ho esitato ad inviare ai segretari dei partiti dell’Ulivo e dell’intero centrosinistra, ai leader sindacali, ai presidenti di Arci, Acli e Legambiente e al sindaco di Roma, una colomba della pace disegnata coi colori dell’Europa da un grande artista come Jean-Michel Folon. E li ho invitati tutti a costruire, con parole e gesti di pace, una giornata di serenità. A tutti ho chiesto di colorare le loro città coi colori dell’arcobaleno, con le bandiere della pace.
E cosi’ è stato. Oh, certo, non perché l’ho chiesto io.
Ma perché gli italiani sanno che questa è stata, che questa è una guerra sbagliata.
Gli italiani hanno provato orrore per le brutalità e gli atti disumani che hanno accompagnato questa guerra. Gli italiani si riconoscono nelle parole pronunciate ieri dal Santo Padre. Gli italiani sanno che i nostri soldati, i nostri ragazzi, non avrebbero mai dovuto esser mandati in un teatro di guerra come questo. Ma queste cose, gli italiani, le sanno dire con parole di pace. Le sanno dire con serenità.
La medesima serenità con la quale saranno pronti, quando ce ne saranno le condizioni, a sostenere la ricostruzione politica, istituzionale ed economica di un nuovo Iraq, libero, democratico e indipendente. Quel giorno, sotto l’effettiva autorità, politica e militare, delle Nazioni Unite, l’Europa, e nell’Europa e con l’Europa l’Italia dovranno essere presenti.
Care amiche, cari amici, l’Europa sta crescendo. Con i dieci nuovi paesi che lo scorso 1 maggio sono entrati nell’Unione, siamo ormai 450 milioni di abitanti. E tra non molto, saremo più di 500 milioni. Ci siamo allargati a terre e popoli con una straordinaria potenzialità di crescita. Sono paesi più poveri di noi e, per questo, avranno bisogno di aiuto e di sostegno.
Ma sono paesi con costi di produzione più bassi dei nostri. E, soprattutto, sono paesi giovani, con una popolazione altamente educata. Paesi che già crescono molto più in fretta di noi e che porteranno nuova vitalità all’Europa. E non è finita. Stiamo lavorando per portare nell’Unione Europea, nella famiglia europea l’intera area dei Balcani. Prima la Bulgaria e la Romania, poi la Croazia. E poi, con un controllo rigoroso da parte nostra ed un ritmo che sarà dettato dalla velocità dei loro progressi, il resto dei Balcani.
Avremo cosi’ esteso un’area di libertà, di democrazia e di sicurezza ad una regione che per tutto il secolo scorso è stata fonte e teatro di tensioni, di guerre, di massacri. Sarà un processo lungo, che richiederà molta cura e molto lavoro. Intanto, in parallelo, lavoreremo per stabilire una nuova forma di collaborazione con i paesi che sono ormai i vicini della nostra nuova, grande Europa. Mi riferisco a quell’arco di paesi che vanno dalla Russia fino al Marocco.
E’ un arco di paesi, l’arco degli amici lo chiamo io, che finirà per racchiudere l’intero Mediterraneo. Questa è la grande speranza, questa è la grande opportunità dell’Europa. Questa, soprattutto, è la grande speranza, la grande opportunità dell’Italia e della Sardegna.
La Sardegna deve diventare un ponte. Un ponte e una portaerei per le grandi e nuove correnti di traffico tra l’Asia della Cina e dell’India e l’Europa. E’ un mondo che cambia, è un mondo che esplode, e il Mediteranneo, l’Italia e la Sardegna ne sono al centro. Correnti di traffico, di merci, di uomini e di capitali.
Ma nessuna di queste si puo’ catturare senza un disegno preciso, senza una strategia, senza intelligenza. A Nord dell’Europa c’era un’altra isola, molto più povera della Sardegna. Un’isola che da sempre aveva vissuto una vita grama, fatta di patate, di fame e di emigrazione. Ma poi, quell’isola, è entrata in Europa e ha scelto di puntare tutto sull’intelligenza.
Ha rinunciato per lungo tempo a costruire autostrade e ha scelto di investire nella scuola, nell’università. Istruzione e ricerca, scuola e università. E oggi, quell’isola, che si chiama Irlanda, è più ricca dell’Inghilterra, più ricca di quasi tutti gli altri paesi europei. Tanto ricca da potersi permettere tutti quegli investimenti a cui prima aveva rinunciato. Questa deve essere la ricetta anche dell’Italia.
Questa deve essere la ricetta per la Sardegna.
Istruzione, Ricerca, Innovazione, per imprese ad alta tecnologia, per un turismo rispettoso, intelligente e di qualità. E il risultato sarà grande come quello dell’Irlanda. Sarà facile? No.
Il tempo delle vuote promesse, il tempo dei miraggi, il tempo dei miracoli è finito.
Mentre il mondo corre e l’Europa comincia ad accelerare la propria crescita, l’Italia corre il rischio di restare staccata. In tutta Europa si sentono profumi di ripresa. Ma l’Italia, come ci dicono l’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica, e la Banca d’Italia, è in affanno, ha le pile scariche.
E se il paese è in affanno, le famiglie soffrono. Hanno perso potere d’acquisto i salari, come sanno bene le donne sulle cui spalle soprattutto gravano la fatica e la responsabilità di far quadrare i conti. Perché arrivare alla fine del mese è sempre più difficile. E c’è anche chi alla fine del mese proprio non riesce ad arrivarci.
Se questo è il miracolo che ci era stato promesso, allora diciamo: “basta ai miracoli”, “basta ai maghi”. Dobbiamo perdere la speranza? No. Non dobbiamo, non c’è ragione di perdere la speranza. Perché l’Italia ha risorse umane straordinarie. Le sue città, le sue regioni, i suoi distretti industriali, le sue imprese, i suoi artigiani, i suoi agricoltori hanno sviluppato e custodiscono saperi e conoscenze straordinarie.
Non c’è ragione di perdere la speranza perché la nuova, la grande Europa offre una piattaforma senza pari per mettere a frutto queste conoscenze. E, infine, non c’è ragione di perdere la fiducia perché l’elenco delle cose da fare noi lo conosciamo.
Dedicare una cura attenta ai conti pubblici perché queste sono le fondamenta che garantiscono stabilità all’intera economia. Ridurre le tasse, ma non quelle sui più ricchi. Perché, se vogliamo abbassare i costi delle aziende, sostenere l’occupazione e i consumi dei lavoratori, sono le tasse sul lavoro che dobbiamo ridurre.
Concentrare gli incentivi e i crediti fiscali su ricerca e innovazione, per rafforzare la competitività delle imprese. Combattere le rendite e i monopoli nelle professioni, nei servizi, nelle industrie e nel settore pubblico.
Ricostruire il potere di acquisto dei salari e delle pensioni restituendo quanto è stato mangiato dall’inflazione. Contrastare gli aumenti ingiustificati delle tariffe e dei prezzi: dalla benzina agli affitti, dal gas e dalla luce alle assicurazioni.
E, poi, scuola, scuola, scuola. E, poi, ancora, scuola, scuola, scuola.
E’ possibile tutto questo? Si’ che lo è. Ne è capace l’Italia e ne siamo capaci noi; l’abbiamo già dimostrato una volta quando, tutti insieme, abbiamo portato l’Italia nell’Europa dell’euro.
L’avevamo promesso e, quella promessa, noi l’abbiamo mantenuta. Senza trucchi. Senza trucchi e senza condoni. Perché noi siamo quelli che le promesse le mantengono. Noi siamo quelli che dicono la verità.
E la verità non la voglio nascondere neppure questa volta. Non basterà un anno, e non ne basteranno due. Servirà un lavoro lungo, un lavoro svolto In tranquillità, tenendo il paese unito.
La stagione delle divisioni, delle contrapposizioni, degli scontri, è durata già troppo a lungo.
Ma un progetto di sviluppo di questa ampiezza, un progetto di sviluppo che si proietta nel tempo ha bisogno di una solida base politica. Ha bisogno di una solida forza politica. Una forza politica solida, unita, destinata a durare.
Per questo, un anno fa, ho lanciato la proposta della Lista Unitaria. A un anno di distanza, siamo qui, con la nostra lista. La nostra lista che si chiama “Uniti nell’Ulivo”. Non saremmo mai arrivati fin qui, se al mio appello non avessero per primi risposto con generosità, con coraggio, con passione, i segretari dei partiti dell’Ulivo che sono qui oggi.
Per questo, voglio ringraziarli pubblicamente, di nuovo, come ho fatto anche quindici giorni fa, a Milano.
Luciana Sbarbati, Enrico Boselli, Francesco Rutelli, Piero Fassino, vi ringrazio. Vi ringrazio a nome di tutti coloro
Che oggi sono qui e a nome di tutti coloro a cui avete contribuito a dare una grande speranza. Ma i ringraziamenti non si fermano qui, perché molto più vasto è il debito di gratitudine. Ringrazio i nostri capilista che hanno fatto, con generosità, coerenza e coraggio, la scelta dell’Europa.
Luigi Cocilovo, Enrico Letta, Pierluigi Bersani, Lilli Gruber, Massimo D’Alema: grazie.
E grazie a tutti i nostri candidati.
Candidati veri. Persone vere.
Persone che, se elette, al Parlamento Europeo e nel Parlamento Europeo ci andranno e ci lavoreranno davvero. Anche in questo, noi siamo quelli che diciamo la verità. I trucchi, le candidature di cartapesta, gli specchietti per le allodole, noi li lasciamo agli altri.
Ai nostri candidati, dunque, di nuovo grazie. E grazie a Giuliano Amato e a coloro che, sotto la sua guida, hanno elaborato il nostro programma elettorale.
Grazie anche – ed è un grazie che esprimo con un affetto del tutto speciale e con un piacere altrettanto particolare in questa Terra di Sardegna – ad Arturo Parisi. Senza di lui, l’Ulivo non sarebbe mai nato.
E grazie a Pietro Scoppola e a coloro che, in un gruppo di lavoro costituito sotto la sua presidenza e per iniziativa dei segretari dei partiti politici dell’Ulivo, hanno guardato all’Ulivo del domani.
Uniti nell’Ulivo. Questo è il nostro simbolo. Un simbolo sul quale già sappiamo che si concentreranno più voti che su ogni altro simbolo elettorale. Dal voto del 12 e 13 giugno l’Ulivo emergerà come la prima forza politica del nostro paese.
Di quanto più grande e più forte di tutte le altre forze politiche, lo vedremo. Ma il risultato di base è già fuori discussione. Ma questo non ci basta. Non ci basta perché noi crediamo che la chiave per garantire il buon governo sia un sistema politico semplice. Un sistema fondato su due grandi coalizioni che si affrontino a viso aperto e con reciproco rispetto. Una vince e governa, l’altra va all’opposizione e si prepara per cercare di ritornare ad essere maggioranza.
L’altro sistema, il sistema basato su un partito centrale che cerca alleati ora di qui, ora di là, l’abbiamo già sperimentato. L’abbiamo già sperimentato e abbiamo visto alla fine quali sono stati i suoi costi. Governi instabili, mancanza di controlli, corruzione. Noi non vogliamo tornare al passato. Noi vogliamo per l’Italia un avvenire di stabilità.
Vogliamo un’Italia che anche in questo stia al passo degli altri Paesi dell’Europa. Per questo, il successo della lista dell’Ulivo non sarà per noi che un punto di partenza. Un punto di partenza per dare stabilità nel tempo a questa unione. Perché nessuno osi disfare cio’ che gli elettori avranno premiato.
Per costruire la grande casa comune dei riformatori italiani. Una grande casa comune che comprenda i partiti, una grande casa comune nella quale le identità e le storie dei partiti possano trovare nuova occasione di crescita. Cosi’ come avviene per gli Stati nazionali un punto di partenza per costruire un Ulivo ancora più grande. Un punto di partenza per dare vita ad una alleanza democratica ancora più larga.
Per questo, in questa prospettiva, il mio saluto, anche oggi, qui da Cagliari, va ai leader delle altre forze politiche dell’Ulivo e del centrosinistra.
Il mio saluto va a Mino Martinazzoli e a Clemente Mastella, ad Alfonso Pecoraro Scanio, a Oliviero Diliberto e ad Armando Cossutta, ad Antonio Di Pietro e ad Achille Occhetto, a Sergio D’Antoni, a Fausto Bertinotti.
E va, naturalmente, il mio saluto, a tutte le donne e a tutti gli uomini, che come noi vogliono un mondo più giusto, più libero, in pace.
E va, infine, il mio saluto, anche a coloro che in passato non ci hanno votato e a coloro che forse anche questa volta sceglieranno di non votarci. La nostra unione, l’unione nell’Ulivo e dell’Ulivo, non è un’unione contro, è un’unione per.
E’ un’unione per un progetto di sviluppo dell’Italia in Europa. Un progetto non per dividere ma per unire.
L’Italia ha bisogno dell’Europa. L’Europa ha bisogno dell’Italia. L’Italia ha bisogno dell’Ulivo.