C´era ancora qualcosa che mancava alla restaurazione in corso. Azzerato con
la nuova legge elettorale il bipolarismo italiano, ricostituite le condizioni
per una grande palude al centro del prossimo parlamento, vi era ancora un muro
che vi avrebbe impedito il libero scolo delle acque. Era il muro della
“diversità” del berlusconismo, il fattore impediente di ogni cambio, intreccio,
pasticcio, compromesso per la legislatura futura.
Che fare? La fortuna ha aiutato i restauratori, senza bisogno di complotti
né di cavalli di Troia. Le telefonate dalla cooperativa rossa e il “tifo” di chi
si informava sono stati distorti e rimontati in una colossale opa sulla
credibilità etico-politica del partito-pilastro della opposizione. Ma il vero
obiettivo dell´operazione non era, e non è, questo. Era, ed è, quello di
togliere l´ipoteca morale che grava, con insistenza planetaria, sulla anomala
destra italiana. Insomma: negare la “diversità” della sinistra per negare la
“diversità” del berlusconismo. “Sdoganare” il berlusconismo senza pagare neppure
il dazio di una parvenza di revisionismo.
Ma soltanto con l´argomento che
l´”altro”, l´opposizione, i “comunisti” gli sono diventati “uguali”. Lo slogan
che corre è: “niente più superiorità morale”.
E´ un tentativo certo assai curioso ma pericoloso. Curioso perché ammette
che l´opposizione possa essere considerata sullo stesso piano del berlusconismo
solo quando ne condividesse il livello etico-politico. Tentativo pericoloso,
perché fa appello, neppure nascosto, a quel certo immoralismo italiano diffuso,
al “così fan tutti”, al “sono tutti uguali” che è la giustificazione di ogni
rifiuto qualunquista e di ogni astensione politica.
C´è però una cosa che rende difficile il successo di tale insidioso
tentativo. L´impasto di vari partiti e zone sociali che si chiama
“berlusconismo” non è più solo la questione politica-affari. Il fatto nuovo è
che, negli ultimi cinque anni, nella legislatura dominata con 150 parlamentari
di maggioranza, la questione morale del berlusconismo è venuta a coincidere,
senza residui, con la questione istituzionale. Questa coincidenza l´ha, per così
dire, indurito, l´ha pietrificato e l´ha reso irriducibile allo spazio della
politica repubblicana dove sono sempre possibili i negoziati e le larghe
intese.
Il marchio della legislatura che sta per finire, e del berlusconismo che
l´ha padroneggiata, è stato il negazionismo dello Stato costituzionale e delle
sue origini (appena ieri al Senato è caduto il tentativo di equiparazione della
“repubblica di Salò” allo Stato della liberazione nazionale….). E´ il
negazionismo del diritto come regola generale (anche negli ultimi giorni il
Senato sarà costretto ad occuparsi di norme processuali personalizzate che
disarmano i pubblici ministeri e snaturano la Corte di Cassazione…).
A chiusura di questa legislatura, insomma, il berlusconismo è diventato
un´altra cosa. E´ un blocco politico che, senza rinunciare all´originario
impasto affaristico, cerca di imporre un altro Stato, con un mutato racconto
delle origini; con diversi rapporti costituzionali; con una differente visione
dei rapporti internazionali e comunitari e addirittura della pace e della
guerra; perfino con un´altra idea della libertà di religione degli
italiani.
In queste condizioni il tentativo di “sdoganarlo”, per conseguita
omogeneità, non può riuscire: neppure se si sollevasse contro l´opposizione una
“questione morale” cento volte più grande e, soprattutto, cento volte meno
infondata dell´attuale. Non può riuscire perché il berlusconismo non è più una
questione di soldi, che ci sono sempre stati, ma è una questione infinitamente
più grave e di altra qualità: l´onestà verso la Repubblica e la sua
storia.
Oggi che la legislatura sta per finire nel modo che si è detto, la
valutazione del comportamento etico della maggioranza e di ciascuno dei suoi
componenti non può essere dissociata da quello che per cinque anni hanno fatto
contro le istituzioni.
Prendiamo, ancora, la questione dei processi. Non possono essere giudicati
moralmente a posto coloro che hanno inventato un letto di Procuste alla
rovescia: per adeguare le leggi ai processi in corso e ai loro imputati e non,
come accade nel mondo dove civiltà giuridica regna, i processi alle leggi.
Ma se, al di là della sempre scivolosa materia dei processi penali, si
andasse a guardare come nella legislatura siano state regolate delicatissime
questioni istituzionali, i dubbi morali si fanno più forti e stringenti. E´
possibile che fior di galantuomini abbiano approvato una legge-burla come quella
sul conflitto di interessi, quella che – appunto – dovrebbe segnare il confine
tra politica e affari?
Una legge che certo ha regole meno vincolanti per il
presidente del consiglio di quelle che disciplinano il gioco delle tre carte
(dal momento che, secondo un primo parere di Authority, il premier è considerato
estraneo ai benefici di una legge del suo governo perfino quando su di essa
abbia posto la questione di fiducia)? E´ possibile che onesti patrioti abbiamo
approvato un progetto di Costituzione che cerca di fare avanzare l´idea di più
“nazioni” nella Repubblica; di diritti fondamentali ineguali per regioni ricche
e per regioni povere; di più frammentazioni burocratico-territoriali? E, ancora,
è possibile che uomini con qualche scrupolo etico-democratico abbiano potuto far
passare una legge elettorale che abolisce, senza le preferenze e senza i collegi
uninominali, lo storico legame di responsabilità e di rappresentanza tra
parlamentari e territorio e che, lacerando la Costituzione, falsifica la base
elettorale del Senato (così mettendo a rischio certo la governabilità del
Paese)? No, non è possibile: la supremazia del numero è stata adoperata per
scopi diversi da quelle virtù repubblicane. Non c´è stata onestà, né lealtà
nazionale, né scrupoli democratici nel concepire e approvare leggi così
dirompenti per il comune senso delle istituzioni, per le stesse tradizioni
popolari poste alla loro base.
Ma all´azione si è congiunta, forse più grave, l´omissione. Quando quella
stessa enorme maggioranza parlamentare, pur capace di tali rivolgimenti, ha
preferito invece far marcire, fra gli scandali, contro la norma costituzionale
sulla tutela del risparmio, le regole di governo dei mercati finanziari, delle
società, delle banche.
E alla fine, quando è diventata insopportabile la
situazione, ha imposto, per muoversi, un´ultima mancia per allentare le norme
sul falso in bilancio…
E´ in tutto questo che la questione istituzionale ha coinciso rovinosamente
con la questione morale. E´ tutto questo che oggi rende irreparabile la
“diversità” del berlusconismo.
Dice un grande giurista tedesco che la essenza dello Stato costituzionale è
nel “principio di speranza”. A chi affidare allora la speranza che tanto
disordine sia corretto se non a chi l´ha combattuto giorno dopo giorno per
cinque lunghi anni, dimostrando così nei fatti di non essere come gli altri, di
essere anzi simmetricamente “diverso” da essi? La speranza dell´alternanza alle
prossime elezioni è dunque soprattutto la speranza di un nuovo ordine che
ricominci con l´onestà repubblicana verso le istituzioni.
Certo: non è questione di superiorità morale. L´opposizione che ha
contrastato, per una intera legislatura, e ancora dovrà contrastare in queste
ultime settimane, norme ripugnanti per l´etica pubblica, ha fatto solo il suo
dovere civico. Ma ha mantenuto viva, con questo quotidiano impegno che ha
coinvolto partiti, associazioni, piazze e parlamento, la più grande delle
questioni morali: la questione della democrazia. La bussola infallibile da
tenere d´occhio quando grande è la confusione sotto il cielo
d´Italia.