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24 Maggio 2005

Il sistema feudale che imprigiona il nostro Paese

Autore: Guido Rossi
Fonte: La Repubblica

Pare a me che la spietata messa a nudo delle malattie dell´Italia e del suo

declino da parte dell´Economist sia purtroppo completa nella descrizione dei

mali, ma carente nell´individuare le ragioni che li hanno provocati.

E tali ragioni sembrano difficili da sradicare, sicché le cure, anche le più pesanti, si rivelano spesso dei semplici palliativi. Esse sono, infatti, profondamente connaturate alla storia italiana e sono soprattutto di

carattere culturale. Questo è il motivo della condivisione dei loro principi

da parte dell´intera classe dirigente: politica, industriale, intellettuale. L´asse portante di quella cultura è il disprezzo della modernità. L´Italia, in Europa, è il Paese che più d´ogni altro ha rifiutato e continua a rifiutare le regole del capitalismo. Destra, sinistra e centro si ostinano a sostenere, attraverso un´alluvione di leggi cui non corrisponde mai una disciplina uniforme, un sistema di tipo feudale, dove l´appartenenza al feudo val più della competenza, dove dietro l´opaca formula dell´italianità si nasconde la totale opacità delle regole, dettate e fatte rispettare dai vari feudatari di un ordinamento da Ancien régime. Ma l´italianità così invocata non è indice di un Paese unito, bensì è argine e difesa del più astuto provincialismo separatista, che coltiva i suoi orti dalla Padania alla Sicilia, dal Veneto alla Calabria.

Nell´era della globalizzazione, in Italia domina dunque il provincialismo culturale, sicché mai come ora cade in taglio il verso dantesco: "Non donna

di provincie, ma bordello".

La norma di base del capitalismo era ed è quella della lotta per la trasparenza, alla quale si stanno ispirando le legislazioni di tutti i Paesi occidentali per superare le crisi finanziarie post-Enron. Così hanno fatto gli Usa, con il Sarbanes-Oxley Act del 2002, così stanno facendo tutti i Paesi membri dell´Unione Europea. Il Parlamento italiano, nel tentativo di proteggere il risparmio nella crisi post-Parmalat. È riuscito invece a riconfermare un solo precetto ad personam (come si conviene in tutti i sistemi feudali): la nomina a tempo indeterminato del Governatore della Banca d´Italia, norma che con la tutela del risparmio non c´entra proprio un bel niente.

Il mercato è certamente l´unico vero stimolo al progresso economico, ma

tutela il risparmio solo se obbedisce a regole precise ed è trasparente.

L´opacità è contro il mercato, anche se molta cultura dominante – di sinistra e di destra – sovente in diabolica confusione, inneggia a forze opache. Anche esse sono frutto invero della cultura feudale, tant´è che il massimo studioso del capitalismo, Fernand Braudel, le qualificava come contro-mercato.

Nell´intero settore del risparmio e del credito abbonda poi una normativa

secondaria che lascia agli organi di vigilanza la massima opaca discrezionalità. Questa è la ragione della brutale tendenza, anch´essa tipicamente feudale, alla amministrativizzazione del diritto commerciale.

Così i Tribunali Amministrativi Regionali, e in particolare il Tar del Lazio, sono diventati lo snodo di molti dei più rilevanti conflitti economici.

Val qui la pena infine di aggiungere che la rinuncia del Parlamento ad emanare serie leggi di riforma, limitandosi a leggi-delega, per le quali il governo diventa legislatore, è un´ulteriore caratteristica da Ancien régime.

Le conseguenze più evidenti sono due: la prima assai grave per la democratica separazione dei poteri, dacché l´esecutivo e il legislativo diventano tutt´uno, e la seconda altrettanto grave perché toglie qualsiasi stimolo riformista alle opposizioni, da chiunque siano rappresentate.

Se dunque il declino italiano è un declino culturale, l´intero problema delle riforme da parte delle classi dirigenti va completamente rivisto. E l´inversione di tendenza pare molto lontana.