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17 Ottobre 2005

Il professore «Adesso lavorerò per un vero Ulivo. Con questi dati è chiaro chi fa il programma, ho margini per agire»

Autore: Francesco Alberti
Fonte: Il Corriere della Sera
Una coda di 50 persone e tre sms che in rapida sequenza accendono il suo
cellulare. Non sono nemmeno le 10 di mattina quando i personalissimi exit poll
di Romano Prodi dicono che sarà una domenica speciale. Una domenica che resterà
nel calendario della politica. Le primarie che fanno bingo. Il Professore che
riacquista i tratti del capo incontrastato: «Ora è chiaro chi farà il
programma». E perfino un’inaspettata resurrezione: «Lavorerò per un vero Ulivo
in una grande Unione» è il proclama prodiano che chiude la giornata e apre,
figuriamoci, nuove fibrillazioni nel cantiere dell’Unione.

Inizia tutto sotto il sole mattutino di Bologna, con uno sbuffo del
Professore e una luce d’incredulità nello sguardo: «E diciamolo, perbacco, sta
succedendo una cosa grossa, siamo oltre ogni sogno…». Una coda di persone
ostruisce la sala del Baraccano, seggio numero 38, cuore di Bologna. E tre sms
fanno vibrare il cellulare prodiano: «Finite le schede in molte zone
dell’Emilia», «Pure Lombardia e Veneto vanno forte», «Ci siamo, Prof». Ed è
allora che il Prof, al secolo Romano Prodi, si guarda intorno, gli ride perfino
la montatura degli occhiali, cerca e trova registratori e taccuini e dice quello
che fino a qualche giorno fa non pensava, non sperava, di poter dire: «Sta
arrivando dalla gente una risposta forte e netta all’arroganza del centrodestra,
è una bellissima prova di democrazia: sono in tanti a dire che Berlusconi deve
andare a casa».

Poi si mette in fila, prende sottobraccio la moglie Flavia e, al suo turno,
appone il voto meno segreto della storia: numero 6, Romano Prodi. Il resto, tra
un Eurostar che corre verso Roma, un incontro con il presidente brasiliano Lula
e la festa notturna nel quartier ulivista di piazza Santi Apostoli, è un
intrecciarsi di umano stupore e fredde analisi politiche. Perché non c’è alcun
dubbio che «quattro milioni di votanti sono un’enormità» e che, di questi, più
di due terzi ha scelto il Professore. Che va all’incasso. Comincia con il dire
che «una tale mobilitazione è anche la risposta della nostra gente al blitz del
centrodestra sulla riforma elettorale». Ricorda «la grande sofferenza di questi
ultimi tempi», con gli avversari rianimati dal voto della Camera sul
proporzionale e loro, l’Unione, condannati dai numeri a sperare in defezioni che
non ci sono state: «La gente ha voluto dimostrare di non accettare il cambio
delle regole in corsa: e noi eravamo lì, con le primarie…».

Pare facile, ora. E invece mai parto fu più faticoso di questa
consultazione interna «unica in Europa»: Prodi la sognava da quando ancora era
presidente della Commissione europea, la accantonò dopo il trionfo alle
Regionali, salvo poi ripescarla a parziale indennizzo quando Rutelli, Marini e
De Mita gli affossarono l’amato Ulivo. «Eppure lo sentivo che il popolo del
centrosinistra avrebbe promosso questo strumento». E mentre lo dice, circondato
da una parte del suo staff e da un Arturo Parisi che delle primarie è una specie
di sacerdote, la gente alla stazione di Bologna lo indica: foto di gruppo con
scolaresca di Agrigento, stretta di mano con un carabiniere, gridolini e
irriferibili parole verso il Cavaliere.

Da oggi il Palazzo filosofeggerà sul dove e come e perché si candiderà il
Professore, ora che le truppe berlusconiane gli hanno smantellato l’impianto
maggioritario. Lui: «Calma, c’è tempo…». Nel suo staff qualcuno sussurra: «E’
vero che non ha un partito: ma nei momenti che contano la gente lo
vota…».
Ed è un modo per materializzare quella che è la tentazione più forte:
mettere in piedi la Lista Prodi, cannibalizzare magari qualche alleato (leggi
Margherita), ma togliersi una volta per tutte l’etichetta di generale senza
truppe. Difficile oggi turbare la totale felicità prodiana. Ricordargli le
accuse lanciate da Mastella sul Corriere della Sera (fine dell’Unione, presunti
brogli alle primarie) significa prendersi una gelida occhiata: «Unione finita?
Parlano le primarie… Uffa, oggi nessuna polemica può essere considerata seria,
parlano i fatti!». Ci prova pure Berlusconi ad annebbiare il successo
dell’antagonista: «Prodi vince solo se vota la sinistra…».

Ma la replica del Professore («Stia zitto, non ne ha avuto abbastanza per
oggi?») non si capisce se è indirizzata al Cavaliere o, invece, a un giornalista
troppo insistente. Quisquilie. A mezzanotte, in piazza Santi Apostoli, c’è il
Tir giallo, i prodiani doc fanno festa, c’è chi canta Bella ciao e chi le
musiche di Barry White. Girano bicchieri pieni. E quando Bertinotti e Prodi si
abbracciano, e Fausto il Rosso saluta il leader con un «ciao, bulgaro», sono
risate. Il Professore è euforico: «A quanto pare il candidato premier sono
io…». Poi cala l’asso del «vero Ulivo». Ed è già un’altra partita.