3 Febbraio 2005
Il Pontefice globale
Autore: Giulio Anselmi
Fonte: la Repubblica
I papi scandiscono il tempo, marcano la storia col loro potere religioso e politico, ritmano, almeno nei paesi cattolici, la vita della gente comune. Per questo, da sempre, c´è tanta attenzione alla salute del pontefice regnante e le ipotesi sulla sua successione appassionano anche coloro che non hanno con i sacri palazzi altro rapporto che quello intessuto dalla fede o dalla curiosità. Ma se nel passato l´attenzione alla fisicità papale aveva qualcosa di domestico e di romanissimo, con espedienti comunicativi di sapore paesano, stracci ai balconi, imposte socchiuse, oggi al primo sussurro su una malattia di Giovanni Paolo II si mobilita il mondo.
In parte è effetto della globalizzazione comunicativa. Dal Messico, informato come noi ieri sera, alle Filippine, raggiunte dalle notizie ieri mattina, per ore i media di ogni tipo hanno rovesciato l´adrenalina delle edizioni straordinarie su miliardi di esseri umani.
È inutile riferire l´elenco, riportato dalle agenzie: comprende tutti i grandi quotidiani e network televisivi, migliaia di radio e di siti internet, traduzione mediatica del preteso universalismo cattolico.
In parte è l´eco che la voce del pontefice e degli atti del suo pontificato ha impresso nell´opinione pubblica di tutti i continenti. Karol Wojtyla è un gigante, l´ultimo grande protagonista del secolo scorso e dei primi anni Duemila, ha lasciato la sua traccia sui grandi eventi del nostro tempo. Gli uomini che trepidano per la sua salute sanno che ha avuto un ruolo nella fine dell´impero sovietico e che ha cercato disperatamente di difendere la pace opponendosi alla prima e alla seconda guerra irachena. Lo hanno visto visitare tutti i continenti, particolarmente attento ai paesi africani e dell´America latina che sono il baricentro del cattolicesimo, con l´obiettivo strategico di rilanciare il messaggio cristiano. Il primo papa polacco è andato in Turchia, Romania, Georgia (la Russia gli è stata interdetta) per parlare agli ortodossi. In Terra Santa ha riconosciuto le responsabilità della Chiesa verso gli ebrei. Ovunque ha parlato in difesa dei diritti umani, cercando di rendere più vicini i cristiani divisi e di coinvolgere le grandi religioni non cristiane in un disegno di pacificazione e di sviluppo. Ma non ha mai rinunciato, in nome della modernità, all´identità cattolica come la concepisce, improntata a un forte tradizionalismo. La Chiesa al servizio dell´umanità, come Wojtyla la vuole, chiede pane e pace, predica la libertà, innanzitutto quella religiosa, è fermissima nella difesa del diritto alla vita e dei suoi principi (fino a imporre, dove, come in Italia, ne ha la forza, leggi assai discutibili).
Tutto questo appare sfocato nel momento in cui si teme per la salvezza del Papa. Nelle ore dell´incertezza si interrogavano le cancellerie, in ansia per la salute di un papa anche intensamente politico e preoccupate dagli equilibri legati alla successione. Ma tra la gente prevaleva la partecipazione alla sofferenza di un uomo, al suo rantolo a cui sembra di assistere, dopo anni di impietosa esposizione all´osservazione dei media. Il pontefice dei record, migliaia di chilometri in volo, centinaia di nuovi santi, estenuanti cerimonie su infiniti palcoscenici, è l´uomo di cui siamo abituati a vedere la smorfia di dolore sotto la mitra, a spiare il respiro affannoso, a intuire la mano contratta sul pastorale. Il papa-crociato, ferreo sui principi, talvolta portatore di certezze in contrasto coi nostri tempi e col pontificato del suo predecessore Paolo VI, vive dal 13 maggio 1981, giorno dell´attentato, la contraddizione di un uomo piegato dalle malattie: Parkinson, tumore, fratture. Con una difficoltà di movimento e di parola, che la sua determinazione di proseguire a ogni costo la sua opera traduce spesso in un sacrificio estenuato e caparbio.
L´ultimo ricovero è dipeso, fortunatamente, da poca cosa, un´influenza degenerata in problemi respiratori, resa seria dallo stato complessivo e dall´età dell´infermo. A ore il Papa che non avrebbe voluto lasciare il suo letto per trasferirsi all´ospedale Gemelli, tornerà in Vaticano. Per proseguire il suo lunghissimo pontificato, ventisette anni la cui durata indicano da soli la difficoltà di una successione, destinata a essere tanto complessa quanto grande è stato il ruolo del papa polacco.