L´Italia ha oggi due governi, ma non è ancora chiaro come sarà l´opposizione. Il governo ombra che il Partito democratico ha costituito in contemporanea al governo ufficiale è certamente una scelta innovativa da apprezzare. Ma nasconde rischi che non vanno sottovalutati e dei quali è sperabile che i dirigenti (e i ministri ombra) del Pd siano consapevoli. Il governo ombra è espressione di un partito che non è ancora presente nella società. Il rischio è che questo governo fittizio finisca per assorbire le energie di un partito che è strutturalmente anemico proprio perché ancora soltanto parlamentare. Se il partito d´opposizione avesse una visibilità sociale oltre che istituzionale, il governo ombra sarebbe un´innovazione davvero importante nel nostro Paese; un segno di limpidezza istituzionale e di effettiva alternanza politica. Il partito di minoranza svolgerebbe infatti due funzioni altrettanto cruciali: quella che l´esito elettorale gli ha affidato (l´opposizione) e quella che la democrazia elettorale gli fa sperare di ottenere (la maggioranza).
Un partito democratico deve essere capace di svolgere entrambe le funzioni: impedire, controllare e opporsi quando perde le elezioni, ma nel frattempo progettare la riconquista del governo. Come partito di opposizione vive nel presente: mette la ragione pubblica al servizio del bene generale e del controllo del lavoro della maggioranza come richiedere la Costituzione, contribuisce a condizionare la formazione di proposte di legge o a impedirne il passaggio. Come partito del governo ombra vive nel futuro: mette a frutto le ragioni della sconfitta per riaggiornare la propria politica programmatica e allenarsi a tornare al governo. Sembra che l´alternanza democratica renda tutti capaci di governare – tanto chi sta nella maggioranza quanto chi sta nella minoranza. Ma la dialettica opposizione/governo ombra prevede un partito che c´è.
Il rischio è che il Partito democratico non abbia né la tempra e né la forza necessarie per svolgere entrambe le funzioni. Nei suoi primi mesi di vita esso è riuscito a mala pena a formare liste elettorali; in larghissime aree del Paese è completamente assente; nelle poche dove è presente non è ancora riuscito a mettere in moto a pieno ritmo la sua nuova struttura. La vita politica e culturale di un partito vive nel e del rapporto con la società civile, le sue associazioni e movimenti, le sue opinioni e pressioni. Questa condizione è necessaria per l´attuazione della rappresentanza democratica, la quale non finisce con la conquista di seggi in parlamento, ma si costruisce e si mantiene attraverso una relazione circolare tra i rappresentanti e la realtà che sta fuori del Parlamento. Da questa relazione vengono al partito in Parlamento gli impulsi che lo devono orientare nella politica di opposizione che è chiamato a fare. Ora, se un partito ancora informe come è il Partito democratico nasce come partito del governo ombra, rischia di nutrirsi di una cultura politica non autonoma; rischia di vivere essenzialmente di luce riflessa, di modellarsi sul lavoro del governo della maggioranza (elaborando o anticipando contro-proposte in relazione ad esso), ma senza avere un suo proprio carattere; senza essere fuori del cono d´ombra della maggioranza. L´insistenza con la quale il neo presidente del Consiglio cerca il dialogo con l´opposizione conferma la ragionevolezza di questi rischi.
Che il Partito democratico non riesca a svolgere pienamente entrambe le funzioni è un rischio da non sottovalutare. Il rischio è che non riesca a mettere in atto un´efficace opposizione parlamentare, che sappia incalzare e ostacolare, frenare e stimolare, e che rappresenti con un´azione costante e caparbia quegli interessi e quelle opinioni che non si sentono (o non si sentono più) rappresentate da chi ha vinto le elezioni. Il paradosso di un partito d´opposizione che non c´è ancora nella società lo ha messo in luce il neo ministro La Russa: «La sinistra radicale non c´è più e noi dobbiamo assumere i temi della difesa dei lavoratori, i temi sociali e della sicurezza del lavoro». Naturalmente non è vero che sia stata solo la sinistra radicale a rappresentare i lavoratori, né che il Partito democratico non abbia nei suoi geni la vocazione a difendere gli interessi dei lavoratori e lo stato sociale. Ma il paradosso è altrove: è in un Parlamento in cui la maggioranza si estende proporzionalmente alla mancanza di visibilità sociale del partito di opposizione mentre quest´ultimo sembra non dare valore alla politica di opposizione.
Le elezioni danno al partito sconfitto una responsabilità che non è mai apprezzata abbastanza: quella di impedire che la maggioranza si faccia tirannica, come dicevano i grandi liberali del passato; che addomestichi con un consenso egemonico le intelligenze e le forze per impedire loro di operare con vigilanza critica. È proprio l´esistenza dell´opposizione a ricordarci la doppia natura della democrazia, la sua dialettica di legittimità e sfiducia. A ricordarci che accettare il verdetto elettorale non esonera dal fare il lavoro critico e incalzante che l´opposizione richiede. Il governo ombra quindi è un´innovazione apprezzabile che però non scioglie il dubbio. Perché mentre non è una soluzione alla debolezza del partito potrebbe essere un fattore aggiuntivo di debolezza se la sua pratica abituale rischia di mettere i parlamentari del Partito democratico nella situazione paradossale di ragionare “come se” fossero al governo, dirottando verso un ruolo inesistente quelle energie che sono invece necessarie a svolgere il ruolo effettivo proprio di un partito di opposizione.