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11 Aprile 2007

Il partito democratico fermo al 23%

Autore: Renato Mannheimer
Fonte: Corriere della Sera

Se si votasse domenica, il Partito Democratico
otterrebbe il 23-24 per cento. Il risultato vero dipende ovviamente dalla
campagna elettorale e dall’immagine che, al momento della consultazione, la
nuova forza politica sarebbe in grado di dare.
Ma le intenzioni di voto
espresse oggi (che non sempre e necessariamente si traducono poi in
comportamenti) possono fornirci un quadro molto indicativo dell’atteggiamento
dei cittadini per il nuovo possibile soggetto politico. E il tratto prevalente è
sempre più la sfiducia.

Il computo parte necessariamente dall’ampiezza
dell’ elettorato attuale delle due principali componenti del Partito
democratico: Ds e Margherita. Secondo gran parte delle stime, essi possono
contare oggi, nel loro insieme, sul 25-26 per cento dei consensi. Si tratta,
come si sa, di una percentuale assai inferiore a quella (31,3 per cento),
conseguita in occasione delle elezioni del 2006: è un altro segnale della
crescente disaffezione maturata nei confronti del centrosinistra da un anno a
questa parte.

Tuttavia, non tutti gli elettori attuali dei due partiti
vedono con favore la creazione del Partito democratico. C’è una più o meno
esplicita contrarietà sia tra i Ds, sia nella Margherita. Tanto che solo una
parte (il 78 per cento circa) dichiara che «prenderebbe in considerazione» il
voto per il Partito democratico. Tenendo conto di queste perplessità, si ottiene
un segmento di votanti «certi» per il Partito democratico pari al 20-21 per
cento dell’elettorato italiano.

Ma, come si sa, l’ambizione del nuovo
partito è di raccogliere non solo i consensi già presenti nelle due forze
politiche che dovrebbero formarlo, ma anche i voti di altre formazioni, nel
centro, nella sinistra e, specialmente, quelli dei tanti indecisi o potenziali
astenuti che in questi anni si sono progressivamente allontanati dalla politica
(e, talvolta, dalla partecipazione alle elezioni). Effettivamente, sino a
qualche tempo fa, la prospettiva del Partito democratico pareva coinvolgere
buona parte di costoro. L’entusiasmo è andato tuttavia raffreddandosi di mese in
mese.

Le ricerche, quantitative e qualitative, suggeriscono l’esistenza
di diversi fattori all’origine di questa erosione. Ad esempio: — la progressiva
diminuzione di consensi verso le forze di centrosinistra nel loro insieme, che
ha portato, tra l’altro, ad una
corrispondente contrazione dei giudizi
positivi sull’operato del governo (ampiamente documentata, da ultimo,
nell’analisi di Diamanti sulla Repubblica di ieri);— l’accentuarsi
nell’elettorato (e, quel che è più preoccupante, tra i militanti) dell’
impressione che il Partito democratico potrebbe finire col diventare un partito
«vecchio», simile forse a quelli della prima Repubblica: con le correnti, le
lotte interne, ecc.. E non una forza politica «nuova» e «diversa», come ci si
aspettava.

Al riguardo, si sa che gli elettori italiani hanno maturato
una diffusa avversione per l’idea di partito tradizionale, a partire dallo
stesso vocabolo: non a caso nessuna
delle maggiori formazioni costituite di
recente si chiama «partito». Una delusione nei confronti della leadership del
Partito democratico vista spesso come portatrice di valori e, specialmente, di
logiche politiche «vecchie».

Questi ed altri motivi hanno portato ad una
sempre minore capacità di attrazione del PD nei confronti degli elettori, tanto
che dichiara di prenderlo in considerazione «solo» il 2-3 per cento dei votanti
non compresi già in Ds e Margherita.
Nell’insieme, ciò porta ad un 23-24 per
cento di consensi oggi definibili come «sicuri» per il Partito democratico.
Certo, il bacino potenziale è molto più ampio e giunge al 37 per cento, con
dichiarazioni di interesse da parte degli elettori di una molteplicità di forze
politiche, a destra come a sinistra. Ma per conquistarli occorrerebbe suscitare
nuovamente l’entusiasmo e la speranza di rinnovamento che, in questi mesi, sono
sembrate man mano offuscarsi.

Insomma, l’opa per il PD proposta ieri da
Salvati sul Corriere può avere esito positivo solo se, come lui stesso
sottolinea, la nuova forza politica si propone con un’immagine e con contenuti
«nuovi». Viceversa, la mera sommatoria tra forze politiche esistenti, in Italia
non ha mai avuto grande successo.