Il sistema politico italiano soffre di una frammentazione
partitica esasperata. Questa frammentazione, come chiunque può constatare,
ci condanna all’ingovernabilità e, alla lunga, può anche compromettere il
futuro della nostra democrazia. Non è quindi un ragionare per paradossi
sostenere che la sorte del costituendo Partito democratico dovrebbe stare a
cuore anche a coloro che non ne condividono le proposte e non hanno
intenzione di votarlo. Insieme alla raccolta di firme in corso per il
referendum sulla riforma elettorale, la costituzione del Partito democratico
è infatti, attualmente, la sola iniziativa tesa a invertire la tendenza, a
ridurre quella dannosa e pericolosa frammentazione.
Se il Partito
democratico diventerà la formazione più forte e vitale del centrosinistra,
una riaggregazione si verificherà certamente anche a destra. E di queste
riaggregazioni la nostra democrazia necessita oggi più di qualunque altra
cosa. Ma i primi passi del nascente Partito democratico non sono stati
felici. Dopo l’entrata in scena di Walter Veltroni, si sono subito delineati
due orientamenti. Il primo è proprio di coloro ai quali nulla interessa di
riaggregazioni nel sistema politico (e poco anche della capacità di durata
del Partito democratico). Costoro sperano solo di avere trovato in Veltroni
un leader capace di battere Berlusconi. Punto e basta. Se poi Veltroni vince
e non riesce a governare a causa del permanere della frammentazione è cosa
che non li riguarda. Per questo costoro sono pronti anche ad avallare
qualunque stravaganza.
Essendo l’Italia un Paese fantasioso che fa sempre
cose diverse da quelle che fanno gli altri, ecco la «stravaganza» che è
stata immaginata. Si fanno primarie rigorosamente finte (sarebbe un bis,
dopo quelle fatte a suo tempo con Prodi). Veltroni, appoggiato dagli
apparati dei Ds e della Margherita e dai loro leader, e magari anche sfidato
per finta da qualche candidato di comodo, viene plebiscitato. Il plebiscito
lascerebbe l’amaro in bocca a molti militanti che hanno creduto sinceramente
nel Partito democratico, ma che importa?: l’unica cosa che conta è l’attesa
ricaduta mediatica e propagandistica dell’evento. Contemporaneamente, si
lanciano tutte le possibile e immaginabili «liste per Veltroni» in modo che
gli organi di partito vengano occupati dalle varie correnti, grandi e
piccole, che si vanno nel frattempo costituendo. Il partito che nascerebbe
non avrebbe alcuna vitalità (non ci sarebbe nessuna vera fusione fra le
forze politiche che lo hanno tenuto a battesimo) ma, ancora una volta, che
importa?: l’unica cosa che conta è che esso regga almeno fino alla
conclusione della campagna elettorale.
Esiste però anche un secondo
orientamento, caldeggiato, dentro e fuori il Partito democratico, dalle
persone serie, vuoi per genuina adesione ai valori politici che il Partito
democratico potrebbe rappresentare, vuoi per ostilità alla frammentazione
del sistema partitico. È l’orientamento di chi non si augura false partenze
né bizantinismi, né stravaganze, né coreografie da socialismo reale. Di chi
auspica primarie autentiche, uno scontro vero per la leadership (e,
altrettanto importante, per il controllo di tutti gli organi centrali del
partito) fra candidati con proposte almeno in parte divergenti. Perché solo
da uno scontro vero, dalla lotta politica (non dai calcoli e dalla
pianificazione di chi controlla gli apparati), possono nascere quel generale
rimescolamento delle carte e quella autentica fusione in grado di dare
vitalità all’impresa.