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11 Aprile 2005

Il governo cambi rotta o meglio votare

Autore: Gianni Giovannetti
Fonte: Il Messaggero

ROMA Allora onorevole Fassino, lei è per andare alle elezioni subito o per aspettare la scadenza naturale della legislatura col rischio, come paventa Massimo D’Alema, di un’agonia per il sistema-Italia lunga un anno?
«Mettiamo le cose in ordine. In Parlamento la destra dispone di una maggioranza con cui governare fino al 2006, per questo noi non abbiamo chiesto elezioni anticipate. Ma naturalmente occorre che questa destra sia in grado di governare. Quello che non sarebbe accettabile è un anno di tran-tran, di un governo che sopravvive a stento, di una maggioranza che si divide e litiga. Sarebbe un danno grave per il Paese. Perciò ripetiamo una cosa chiara e semplice: i numeri per governare ce l’hanno, dimostrino di esserne all’altezza con degli atti chiari di cambiamento. Se poi non ne sono capaci, ne prendano atto».

C’è anche chi ritiene che il voto anticipato conviene persino allo stesso Berlusconi: lei condivide?

«Dipende da quel che Berlusconi intende fare. Se il programma di governo dei prossimi mesi è quello annunciato in modo propagandistico a Ballarò , allora meglio neanche cominciare. Insomma quello che Berlusconi deve capire è che non può liquidare questo voto di Aprile come un incidente di percorso. La sconfitta subita è profonda, arriva dopo tre anni di altre sconfitte ed es prime un giudizio drastico e severo della maggioranza degli italiani. O si ha il coraggio di prenderne atto e cambiare politica, oppure è meglio che siano gli italiani a dire chi deve governare l’Italia».

Ieri Prodi ha invitato alla prudenza: bisogna andare adagio, secondo lui, perché in discesa si rischia di sbandare

«Ha ragione. Io penso che al centro delle preoccupazioni della politica ci debba essere l’Italia con i suoi problemi. Credo che siano sbagliati, chiunque li faccia, calcoli puramente elettorali. Guardiamo ai problemi veri. C’è un’economia ferma, un sistema produttivo scarsamente competitivo, i conti pubblici rischiano di andare fuori controllo, c’è nella società un grado di insoddisfazione e di inquietudine che è all’origine del voto del 3 e 4 Aprile: di fronte a tutto questo il tema cruciale è dare all’Italia una guida politica forte e salda, anche perché il rischio è che dilaghi la sfiducia se non si danno risposte ai cittadini. Ecco, penso che noi del centrosinistra dobbiamo preoccuparci di questo: dare agli italiani un messaggio di speranza e di fiducia. Ho già detto altre volte che l’Italia è un grande Paese, che ha tutte le risorse per affrontare i suoi problemi e per tornare a crescere. Ma un grande Paese ha bisogno di sentire che è governato da una mano sicura, esattamente quello che oggi manca. Per questo noi diciamo a Berlusconi e alla sua maggioranza: siate innanzitutto responsabili verso l’Italia e se avete la forza di restituirgli un governo, fatelo. Non accollate agli italiani la vostra lenta agonia».

Anche nella maggioranza, in realtà, c’è una corrente di pensiero che preme verso un’ipotesi di elezioni subito

«Certo è significativo che sia l’Udc, sia ampi settori di An e perfino qualcuno in Forza Italia esprimano grande scetticismo sulla possibilità di questa maggioranza di riprendersi. Se è così, se perfino nelle loro file si avverte questo grande limite, allora siano coerenti fino in fondo».

Ma Berlusconi tira dritto e pensa a un rimpasto, neanche a un nuovo governo

«Lui pensa di fare quello che ha sempre fatto, in questi tre anni, ogni volta che ha perso. Nel 2002 finse di non vedere, nel 2003 disse che era solo un voto locale, nel 2004 fu costretto a dimissionare Tremonti ma poi ha continuato a fare la politica di prima. Mi pare che anche stavolta voglia cercare di uscirne con i soliti trucchetti. La verità è che le malattie si sconfiggono guardandole negli occhi e allora: o Berlusconi fa i conti con la prop ria c risi o non ne uscirà. Guardi, qualche giorno fa, un autorevole esponente della Cdl mi ha detto: il nostro terrore è un Ballarò alla settimana, perché alla quarta settimana non sarem o più in grado di farci vedere in giro. E’ così».

Marco Follini dice che è ora di finirla con i tagli alle tasse e che è arrivato il momento di mettere ordine nei conti pubblici: come commenta?

«Meglio tardi che mai. Noi abbiamo sempre denunciato il carattere demagogico e irresponsabile di questa politica fiscale, che è stata doppiamente negativa: perché alle famiglie italiane ha elargito solo una mancia di qualche Euro e perché, allo stesso tempo, ha bruciato tutte le risorse destinate a rilanciare gli investimenti, le infrastrutture, la crescita produttiva. Perdipiù il deficit del bilancio pubblico è di nuovo schizzato alle stelle, tanto che Follini e pure An ora devono dire basta. Ma mi domando: qual è la scelta di questa maggioranza? Quella che dice Follini o i nuovi miraggi di tagli fiscali promessi a Ballarò ? L’una cosa però esclude l’altra. E comunque: è legittimo che nella maggioranza si discuta, ma dico subito che non pensino, Berlusconi i suoi, di evitare di venire in Parlamento a illustrarci come intendono governare per i prossimi 12 mesi».

Voi avete dato la vostra disponibilità nel caso in cui la maggioranza dia il segnale di una svolta in politica economica: la conferma?

«Innanzitutto ribadisco: dopo quella sonora sconfitta, il governo ha il dovere di venire in Parlamento. Dopo di che noi chiederemo un radicale cambiamento prima di tutto nella politica economica, e se davvero si imbocca un’altra strada, siamo pronti a discutere le misure necessarie al rilancio dell’economia. Poi abbiamo indicato almeno altri tre terreni: la riapertura di una discussione sulla riforma costituzionale e della devolution; la modifica della riforma dell’ordinamento giudiziario e la restituzione alla Rai della sua autonomia e della sua imparzialità, attraverso la nomina di un nuovo presidente, di un nuovo CdA e di un nuovo direttore generale scelti di comune accordo. Come si vede le nostre indicazioni sono molto chiare. Aspettiamo risposte altrettanto chiare».

Ma ritiene verosimile un cambio strategico così netto e in così poco tempo?

«Mi pare molto difficile. Tuttavia, proprio per la chiarezza che si deve ai cittadini, è chi ha governato finora che ha il dovere di dire agli italiani che cosa vuole fare».

Restando sull’argomento ”economia”: Mario Monti auspica ”vigorose dosi di concorrenza” da introdurre nel sistema-Italia e ammonisce, pensando magari a Rifondazione, che le regole del mercato non vanno stravolte. Lei che dice?

«Che vale quello che ho detto già al congresso del mio partito: l’Italia ha bisogno sia di più mercato e sia di più politiche pubbliche. Più mercato e concorrenza nel sistema bancario, nelle libere professioni, in alcuni servizi pubblici che continuano a subire posizioni dominanti di questo o quel monopolio; al contempo c’è più bisogno di politiche pubbliche nella ricerca, nell’innovazione, nel sapere, perché l’Italia non cresce se non spende almeno quanto spendono gli altri grandi Paesi in questo settore. E poi: politiche pubbliche nei piani per le infrastrutture, per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese, per realizzare quegli ammortizzatori sociali che consentano a un mercato del lavoro flessibile di non essere precario. Insomma, più mercato e più politica pubblica non sono in alternativa tra di loro, ma l’una ha bisogno dell’altro».

Avete già incoronato Mario Monti super-ministro dell’Ulivo?

«Monti è una personalità sufficientemente indipendente e autorevole per decidere da solo se e dove collocarsi. Certamente il centrosinistra esprime un europeismo e una cultura di governo con cui un uomo come Monti può trovare maggiori affinità e convergenze di quante non ne possa trovare con le politiche di Berlusconi».

Su un altro versante Bertinotti fa notare che la vittoria di Vendola in Puglia rompe lo schema secondo cui, nel maggioritario, toccherebbe solo e sempre al centro la guida degli schieramenti: è d’accordo?

«Queste elezioni hanno fatto saltare molti schemi. Quello che è del tutto saltata è l’idea che la federazione dell’Ulivo rappresentasse una scelta moderata che avrebbe favorito una crescita della sinistra radicale. E’ accaduto esattamente il contrario: l’Ulivo cresce e la sinistra radicale no. La vittoria di Vendola, poi, dimostra che per l’elettorato è decisivo che il centrosinistra si presenti unito e con un programma credibile. Perciò l’appartenenza del candidato-presidente a questo o a quel partito non rappresenta più un problema».

Sul 25 Aprile An dice ”basta con l’antifascismo”, lei che risponde?

«Io dico basta, invece, a questo continuo tentativo di riscrivere la storia. Senza il 25 Aprile non ci sarebbe stata la Repubblica e 60 anni di democrazia e di libertà in Italia. Dico di più: senza il 25 Aprile non sarebbe stato possibile, 60 anni dopo, che Fini diventasse vice presidente del Consiglio».

Un’ultima cosa, segretario, una domanda domestica: il Fassino ”casalingo” è la risposta al premier che tutto si è attribuito tranne l’aggettivo, appunto, di casalingo?

«Semplicemente è la dimostrazione che Fassino è un uomo normale. E questo Paese, dopo quattro anni di illusionismi, ha bisogno di ritrovare una sua sobrietà».