Francamente peggio di così non poteva andare, ma forse non abbiamo ancora
toccato il fondo. Lo toccheremo se il mercato finanziario dovesse registrare
quest’incredibile situazione riversandone gli effetti sulle quotazioni dei
titoli del Tesoro e sul fabbisogno necessario al suo finanziamento.
Se anche questo dovesse accadere, lo Stato rischierebbe una crisi senza
precedenti.
Perciò non è figura retorica dire che l’intero sistema Italia è in bilico
sull’orlo di un precipizio. Non a caso l’asta di titoli pluriennali che era in
calendario la scorsa settimana è stata rinviata nel timore che potesse riservare
cattive sorprese. Intanto lo stock di debito pubblico continua ad aumentare e
con esso anche il rapporto deficit-Pil che ha già raggiunto il 5 per cento e non
accenna a fermarsi.
Previsioni? Forse Fazio potrebbe andarsene il 31 maggio, dopo aver letto
per l’ultima volta la sua annuale relazione nel grande e affollato salone di
Palazzo Koch. In quel momento forse ci sarà già il nuovo governo post-elettorale
che dovrà provvedere alla sua sostituzione.
Debbono dunque passare almeno altri otto mesi e mezzo, con tutto ciò che
può accadere nel frattempo, prima di veder la fine di questa indecorosa
vicenda.
* * *
Sembra un racconto gotico, una favola da maghi, trabocchetti, doppi fondi,
avvoltoi, castelli assediati, rumori sotterranei, tuoni e saette che fendono un
cielo abbuiato. I nostri nipoti, semmai qualcuno vorrà raccontargliela tra venti
o trent’anni, stenteranno a credere che si tratti di fatti realmente accaduti;
ma è anche possibile che siano proprio loro a subirne le nefaste conseguenze
così come noi subiamo il peso di un debito immenso che fu accumulato trent’anni
fa nella più assoluta e generale incoscienza della classe dirigente di allora,
complice passivo un paese assistito e plaudente.
Nella vicenda di oggi Antonio Fazio recita il ruolo dell’eroe negativo,
Silvio Berlusconi quello di un re travicello indeciso a tutto e quindi
impotente. Per un capo di governo che vanta una maggioranza parlamentare di
cento voti è incredibile parlare d’impotenza, eppure è così. Ma l’aspetto ancor
più incredibile della questione sta nella circostanza che la sua impotenza è lui
stesso che la vuole sotto il ricatto della Lega, cioè di un partito locale che
dispone del 5 per cento dei voti in Parlamento.
Ostaggio volontario. Capo di governo contumace. Collasso della sua
volontà.
Sindrome da sconfitta immanente e imminente. Chi lo frequenta in questi
giorni registra (e racconta) che la sua mente è prevalentemente assorbita dal
pensiero di che cosa farà dopo la sconfitta. Dove riparerà le sue immense
fortune. Come le dividerà tra i figli e le mogli. Che fine farà la sua potente
“famiglia”.
E’ evidente che le banche e la finanza hanno un ruolo preminente in una
mente così ossessionata dal futuro. Finora Fazio è stato il padrone del sistema
bancario. Il despota che ha favorito certi disegni impedendone altri. Dopo di
lui non sarà più così e Berlusconi teme questa incognita novità. Il suo è un
grande impero immateriale. Produce e vende immagini. Realtà virtuali. Pacchetti
azionari che rappresentano servizi ma non beni materiali. Per di più sorretti
ancora per qualche anno da licenze governative senza le quali l’intero edificio
crollerebbe come un castello di carte.
E pensate che un uomo che ormai convive con questa ossessione sia libero di
decidere la sorte di chi è ancora al vertice di quel sistema di potere? Perciò
Berlusconi latita e tenta di scaricare su altri una responsabilità che
toccherebbe a lui di assumere. Ha provato a scaricarla su Ciampi, poi sul
Parlamento, infine sulla Banca centrale europea.
Mosse maldestre. Il Quirinale gli ha obiettato che non ha alcun potere, né
di nome né di fatto, di interferire sul rapporto fiduciario tra governo e
governatore della Banca centrale, mentre ha un ruolo essenziale nel valutare il
nome del governatore eligendo.
La Bce, facendo appello al proprio statuto e al trattato fondativo
dell’Istituto, ha chiarito che può adottare provvedimenti sanzionatori nei
confronti di uno dei suoi membri solo in caso di “colpe gravi” ma non può
sostituirsi ai governi nazionali in materia di credibilità e di
fiducia.
Quanto al Parlamento, esso può certo esprimere ordini del giorno rivolti al
governo, ma quei documenti non hanno alcun valore se non nei confronti del
destinatario, cioè ancora una volta il presidente del Consiglio.
Il Parlamento però una cosa sostanziosa la potrebbe fare: potrebbe
completare il manchevolissimo emendamento presentato dal governo sul disegno di
legge per il risparmio, aggiungendovi oltre alla clausola del mandato a termine,
quella del limite di 70 anni oltre il quale il governatore deve abbandonare la
carica. Si dirà che sarebbe un emendamento ad personam. Non è vero poiché
varrebbe per tutti i governatori a venire. E quand’anche, il Parlamento attuale
di leggi ad personam ne ha votate tante e poi tante da rendere questa obiezione
irricevibile. I messaggi volti a spostare su altri la responsabilità di agire
sono stati comunque respinti al mittente, ma il mittente è inesistente, come nel
romanzo-favola di Italo Calvino.
* * *
Il ministro del Tesoro non latita, non compie mosse maldestre, ma volteggia
con eleganza. Schiva. Lancia un affondo. Stringe in angolo l’interlocutore. Poi
un passo indietro e uno di lato. Resta in pedana. Questo è l’importante: restare
in pedana.
Poiché conosce benissimo la procedura da seguire, qualche giorno fa
Siniscalco aveva programmato le sue mosse: avrebbe scritto una lettera al
presidente del Consiglio (scripta manent) nella quale avrebbe manifestato la
propria sfiducia (non personale ma istituzionale) nei confronti del governatore
della Banca e avrebbe chiesto al capo del governo di farla propria e di
comunicare una tale sfiducia al Consiglio superiore della Banca affinché
adottasse le decisioni del caso. Qualora il presidente del Consiglio non avesse
accettato la sua richiesta Siniscalco si sarebbe dimesso da ministro del Tesoro.
Questo era il programma dichiarato.
Dichiarato ma non attuato. La lettera a Palazzo Chigi non c’è stata. C’è
stato invece un incontro, vari incontri, una girandola di incontri, ma verba
volant. Berlusconi ha apprezzato le idee del suo ministro ma ha ribadito che si
trattava di idee personali. Ha fatto appello alla coscienza di Fazio. Gli ha
spedito Gianni Letta. Poi, di fronte all’inanità di questi tentativi ha
allargato le braccia e ha concluso che non aveva altro da fare e neppure da
dire. Siniscalco? Ciò che ha chiesto non l’ha avuto. Si dimetterà? Credo
piuttosto che resterà in pedana.
Post scriptum. In tutta questa vicenda il Direttorio della Banca d’Italia
si è chiuso in un silenzio assoluto, sia come collettivo sia come singoli
membri. Si tratta di tre persone, il direttore generale e i due vicedirettori
generali, che insieme al governatore portano la responsabilità di guidare
l’Istituto e la sua politica. Capisco l’abitudine al riserbo. E’ apprezzabile.
Ma anche il riserbo ha dei limiti. In situazioni estreme il riserbo diventa
corresponsabilità. Nei casi di supposto malgoverno la corresponsabilità diventa
complicità.
Comunque se non si vuole infrangere il riserbo per ragioni di lealtà
istituzionale, c’è un altro strumento a portata di mano: le dimissioni da un
incarico diventato incompatibile con la propria coscienza. Ma poiché nessuno dei
tre ha rotto il silenzio e tanto meno si è dimesso, se ne deduce che i membri
del Direttorio condividono interamente la posizione del governatore e sono
quindi corresponsabili con lui di una crisi istituzionale di inaudita gravità.
Ecco un altro aspetto tutt’altro che positivo di questa tristissima
vicenda.