DA SEI mesi ormai la vicenda Unipol-Bnl secerne i suoi veleni sulla scena politica italiana. E tutto fa pensare che il profluvio di intercettazioni, interviste, polemiche continuerà, di qui alle elezioni, assumendo il carattere di una campagna nei confronti dei Ds.
Ai Ds si rimprovera l’antico legame e la solidarietà, il cosiddetto “collateralismo” nei confronti del movimento cooperativo e delle sue operazioni finanziarie. Il “collateralismo” è un dato di fatto che fa parte della storia del movimento cooperativo e del movimento operaio. Il sostegno offerto dai Ds al tentativo dell’Unipol di conquistare la Bnl si è manifestato, nel corso degli ultimi mesi, in modo esplicito. E non può essere considerato una colpa. A meno che tra Ds e Unipol non siano rilevabili accordi occulti di carattere finanziario in violazione delle regole del mercato.
Nulla di tutto questo è emerso finora. Tutte le telefonate rese note fino a ieri provavano l’interessamento di Fassino per l’operazione e per il suo successo. Niente di illegittimo e niente di più. Ieri sono state rese pubbliche altre intercettazioni di telefonate tra Fassino e Consorte, che risalgono al luglio scorso. Non ci sembra che possano avere alcuna rilevanza sul piano penale. Esse rivelano però la esistenza di rapporti strettissimi tra il presidente dell’Unipol e il segretario dei Ds. Così stretti che quest’ultimo a un certo punto si fa sfuggire una espressione eccessiva di giubilo: “Ah, allora, siamo padroni di una banca…”. E Consorte di rimando: “Sì, è chiusa, è fatta”.
È inutile negarlo, o sottovalutarlo. C’è qualcosa di profondamente sgradevole, di eccessivo, in questo scambio di informazioni dettagliate, di complimenti reciproci. In questa esultanza. In questo “siamo padroni” di una banca… Il padrone chi sarà, l’Unipol o i Ds? Intendiamoci: il sostegno dei Ds all’Opa su Bnl non è certo una novità. Sia D’Alema che Fassino, in prima persona, si erano già espressi nel corso dell’estate in questo senso. Forse, possiamo dire oggi, con un eccesso di entusiasmo. Senza tener conto delle riserve che si erano già manifestate anche all’interno del mondo cooperativo.
Ma, se le accuse nei suoi confronti saranno confermate, la fiducia nei confronti di Consorte era mal riposta. Il patron dell’Unipol, a quanto è risultato dalle successive indagini della magistratura, si occupava con molto zelo degli interessi della cooperazione, ma, per lo meno con altrettanto zelo dei suoi interessi privati, in combutta con Fiorani, Gnutti e i cosiddetti “furbetti del quartierino”.
Sulla scena di questo scandalo che ha occupato le pagine di tutti gli organi di informazione nel corso dell’estate si sono mossi, da protagonisti non solo l’Unipol, ma personaggi quanto mai ambigui, brasseurs d’affaires che si erano improvvisatisi banchieri d’assalto, immobiliaristi dalle incerte e sospette fortune, giocatori d’azzardo che inventavano cordate e scalate.
Il tutto sotto l’occhio compiacente e in qualche caso affettuoso di un Governatore della Banca d’Italia costretto alla fine, ma solo alla fine, a dare le dimissioni. E colpisce in tutta questa vicenda l’ambigua familiarità che legava i protagonisti, quello scambio di regali, persino di baci, di affettuosità, di complimenti e, alla fine, di principesche percentuali incassate dal presidente dell’Unipol per improbabili ma certamente preziose consulenze.
Non siamo tra coloro che pensano che il danaro sia “lo sterco del diavolo” ma siamo convinti che ci sono modi diversi di trattarlo, di guadagnarlo e di scambiarlo. I “furbetti del quartierino”, coloro che giocano d’azzardo con il danaro, non possono essere considerati alla stregua di coloro che rischiano, producono e fanno profitto (o magari non ci riescono, come pure accade).
Per questo è apparso per lo meno singolare e sgradevole che alcuni dirigenti autorevoli dei Ds abbiano volutamente ignorato questa differenza, quando nel corso di alcune interviste, si sono chiesti ironicamente “Cos’ha Gnutti che non va?”, “Cos’ha Ricucci che non va?”.
Si è visto nel corso di pochi mesi cosa non andava in quei personaggi, nelle loro spericolate operazioni e nelle loro sproporzionate ambizioni. E si spiega il disagio che oggi si manifesta non solo all’interno del movimento cooperativo, ma anche nei Ds. La vicenda, come dicevamo all’inizio, continua a secernere i suoi veleni sulla scena politica e rischia di trasformarsi in un boomerang per i Ds, un partito che ha fatto giustamente della difesa dell’etica pubblica una delle sue più nobili bandiere di fronte al dilagare della corruzione nella vita pubblica e alla clamorosa compromissione tra politica e interessi privati di cui è simbolo Berlusconi.
Ma si percepisce, tra i Ds, la difficoltà di definire una credibile linea non solo di resistenza, ma di contrattacco. Il disagio e l’incertezza nella definizione di questa linea sono apparsi evidente anche nelle contrastanti dichiarazioni di alcuni dirigenti. C’è ancora chi parla di “complotto”, ma c’è anche chi (lo ha fatto qualche giorno fa Giorgio Napolitano con il tono misurato che gli è proprio) rivolge qualche critica a Fassino e D’Alema per la fiducia eccessiva che questi avevano manifestato nei confronti di Consorte. Una richiesta irricevibile, ha protestato Luciano Violante, ricordando che “i DS non hanno scheletri nell’armadio”. Ma la questione non si chiudeva ancora.
Perché il giorno dopo Vannino Chiti non esitava a dichiarare che “è stato un errore aver fatto il tifo per l’Unipol nella scalata alla Bnl”. Una affermazione che sembra correggere precedenti prese di posizione e, insieme, preannunciare un dibattito, nelle sedi opportune, su quanto è avvenuto nei mesi scorsi, sui comportamenti dei singoli, e sulla esigenza di definire un più limpido rapporto tra politica e affari.
È quanto l’opinione pubblica si attende dal vertice Ds: un giudizio netto e inequivocabile su un personaggio come Consorte, regista di un’operazione opaca, insieme con personaggi spregiudicati fino al limite dell’illegalità.
C’erano altre intenzioni in gioco, la volontà di colpire, con la conquista della Bnl, altri poteri presenti nella finanza e nell’editoria, la necessità di tutelare altri interessi e di promuovere altre ambizioni? Sarebbe bene chiarirlo, prima che la pubblicazione di nuove intercettazioni sparga altro veleno su una campagna elettorale che già si preannuncia durissima.