Silvio Berlusconi sostiene che dell’Alitalia si occuperà lui, che
metterà in piedi una cordata in cui se è necessario potrebbero persino
entrare i figli, e che farà un’offerta molto più accettabile di quella
di Air France. Il mondo politico ed economico si domanda se questa
cordata sia realistica o no. Realistica o irregolare? bisognerebbe
piuttosto chiedersi. E’ possibile che la disperazione del sistema
italiano di fronte alla sua paralisi sia arrivata a un punto tale da
far considerare le regole solo una variante della soluzione di un
problema; ma da un punto di vista di correttezza istituzionale il farsi
avanti del leader della Cdl solleva molte domande. Intanto, in che
veste parla Berlusconi? C’è una forte differenza fra il proporre una
soluzione, e «adoperarsi» per una soluzione. Un candidato premier può e
deve esprimere una propria opinione su un problema grave come quello
dell’Alitalia. Ma può personalmente scendere in campo, per formare,
lui, strumenti operativi sul mercato, quali una cordata? E, di più, può
invitare in questa cordata i suoi figli, cioè la sua stessa famiglia?
Curiosamente questa distinzione fra proporre e adoperarsi non è stata
nemmeno sollevata. Eppure, non si può dire che nel corso di questi
ultimi anni il nostro sistema non abbia dovuto subire vari scossoni dal
rapporto fra politica e affari: gli intrecci che Berlusconi ha portato
al governo hanno lacerato il Paese. E nessuno è stato tenero nemmeno
con il Centro sinistra, sul quale ancora aleggia il fantasma dei
«capitani coraggiosi» e Telecom, o di Unipol. Che un uomo politico non
possa intervenire operativamente nel mercato, e nemmeno favorire suoi
interessi indirettamente sembrava fosse insomma una verità assodata. Ma
il Paese non sembra invece ricordare. Il Cavaliere per primo sembra
aver dimenticato tutte queste tensioni. Anzi, fa le sue proposte per
l’Alitalia con il piglio del salvatore della patria, del capo azienda
orgoglioso della propria iniziativa, di quella dei suoi figli e di
altri uomini d’affari a lui vicini. La salvezza dell’Alitalia, insomma,
come un atto di leadership e generosità verso la nazione. Il risultato
di tutto questo è tuttavia, più prosaicamente, il seguente: un
aspirante premier forma una cordata, in cui ci sono la sua famiglia e
suoi imprenditori di riferimento, per comprare la società di bandiera
della nazione di cui sarà il premier; il rischio dell’operazione
potrebbe per altro essere coperto da un prestito ponte di cui si
farebbe garante il governo, cioè lui stesso. Di che si tratta, se non
di un ennesimo riproporsi del conflitto di interessi? La sinistra non
sobbalza, perché ha la coda di paglia del fallimento Alitalia, ma anche
perché se non riguarda la televisione, in fondo il conflitto di
interessi forse nemmeno la spaventa. Eppure, proprio perché avanzata
con consenso, entusiasmo, il cuore in mano e senza critiche
dell’establishment, la proposta su Alitalia e l’uso che ne viene fatto
in campagna elettorale, è l’ennesima prova di quanto difficile sia
bandire dalla politica di Silvio Berlusconi il legame con il fare
economico. Lui l’ammette oggi, nell’euforia della campagna elettorale,
come in vino veritas. Sarà lì però anche quando sarà finita la compagna
elettorale, se tornerà a Palazzo Chigi. Speriamo solo che sia almeno
disposto a prendersene le responsabilità: nel caso le sue dichiarazioni
facciano ritirare oggi Air France, e nessuna cordata alternativa venga
alla fine messa da lui in piedi, sa il Cavaliere che qualcuno dirà che
ha sabotato gli interessi nazionali? Magari a favore dei suoi?