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16 Dicembre 2005

Il Bonaparte delle cooperative lasciato solo dalla banca rossa

Autore: Alberto Statera
Fonte: la Repubblica

PORTE che si aprono, porte che si chiudono, gente che entra, gente che esce, come in una commedia di Feydeau. Giovanni Consorte, il Capo di stato maggiore di quella che una volta si chiamava finanza rossa e di cui oggi non si distingue più il colore, il signore che vuole mangiarsi una banca quattro o cinque volte più grande della sua Unipol, la compagnia di assicurazione delle cooperative, è indagato dalla procura di Roma per aggiotaggio informativo, ostacolo agli organi di vigilanza e manipolazione del mercato.

E, nelle stesse ore, Emilio «Chicco» Gnutti, campione della Razza padana, Capitano coraggioso e soprattutto spregiudicato del nuovo capitalismo «dal basso», è riammesso nel consiglio d´amministrazione del Montepaschi, la banca più antica del mondo, di cui era vicepresidente prima che il Gip di Milano Clementina Forleo lo sospendesse.


Le correnti d´aria tra Bologna, via Leningrado, dove siede Consorte, e Siena, Rocca Salimbeni, dove torna Gnutti, sono quasi una bora, che spinge i suoi spifferi fino a Roma, al Botteghino.


A Siena sono gente di contrada, un po´ anarchici, un po´ spocchiosi e un po´ esoterici. Ma sanno far di conto, tanto che l´ultimo Palio, vincitore Trecciolino con Berio, è passato alla storia come il Palio matematico, non più anarchico.

Nella storia della Banda d´Italia, destinata ormai a riempire più tomi dell´Enciclopedia britannica, sotto la Torre del Mangia, i quattro tratti antropologici – ribellione, boria, numeri e culo – si sono mirabilmente fusi, lasciando fuori il Montepaschi dallo scandalo politico-finanziario trasversale di fine legislatura, mentre tutto congiurava nel volerlo coinvolgere.

Ma allora perché ieri l´assemblea degli azionisti ha deciso di reintegrare nelle sue funzioni di consigliere Gnutti, azionista di maggioranza dei furbetti di Fiorani e Fazio?

Una nuova sfida alla sorte della banca che fino a un ventennio fa era infestata dai massoni della P2?

O forse un semplice esercizio di diplomazia poco costosa, visto che il consiglio nel quale è stato riammesso il campione della Razza padana, già condannato in primo grado per insider trading, sarà rinnovato fra tre mesi?


Che l´ex Capitano coraggioso vada preso con qualche diplomazia, anche adesso che dichiara pubblicamente problemi di salute mentre in giro tintinnano manette, nessuno dubita.

Neanche il presidente della Fondazione Mps Giuseppe Mussari, visto che la Hopa, la finanziaria di cui Gnutti è presidente e amministratore delegato e che detiene il 2,4 per cento della banca di Rocca Salimbeni, è, per così dire, il salotto dei concertisti di Antonveneta, Bnl e Rizzoli-Corriere della Sera, del golpe finanziario – politico che doveva cambiar faccia al decrepito e ansimante capitalismo di casa.

Nell´Hopa c´è Consorte, c´è Fiorani, ci sono Ricucci, Livolsi e chi più ne ha più ne metta.


Fu la primavera scorsa che Giovanni Consorte spinse a tavoletta per realizzare il suo sogno di grandeur, mobilitando tutte le sue relazioni politiche. I

l Montepaschi doveva aiutarlo a prendersi la banca romana, fondata nel 1913 per finanziare le cooperative e che, tre lustri dopo, il fascismo mise al servizio delle corporazioni.

A metà giugno da Siena venne un no secco e irreversibile, dietro il quale non fu difficile leggere in trasparenza il maldipancia all´interno della sinistra.

Da una parte, semplificando lo schema, D´Alema e Fassino, favorevoli, dall´altra Bassanini e Amato, parlamentari toscani, contrari all´intervento di Rocca Salimbeni.

Ma gli incontri ravvicinati tra Montepaschi e Bnl erano cominciati molto tempo prima. Correva il 2000, D´Alema sedeva a Palazzo Chigi e il governatore della Banca d´Italia Antonio Fazio, considerato ancora una risorsa più o meno del centrosinistra, in nome dell´italianità aveva già deciso di stoppare gli spagnoli del Banco di Bilbao, primi azionisti della Bnl con il 10 per cento e fautori dell´aggregazione con Unicredito.

E voleva frenare anche Alessandro Profumo, il banchiere oggi osannato per l´operazione in Germania, ma un po´ troppo autonomo per godere delle simpatie di Palazzo Koch. Meglio allora il Montepaschi.


Quella volta a mettersi di traverso è Pierluigi Piccini, potente e sanguigno sindaco di Siena, titolare di cinque membri del consiglio della Fondazione che controlla la banca, a costo della scomunica di Palazzo Chigi e di Palazzo Koch.

Al governatore, che invoca San Tommaso, risponde per le rime, gli manda a dire: «Parafrasando Caterina da Siena, dico che il potere che si riceve non è assoluto, ma prestato.

Caterina intendeva da Dio, io dal popolo». Fazio non la pensa così, come dimostrano «ad abundantiam» gli eventi degli ultimi mesi, e ci riprova nel 2003. Uscito dai giochi Piccini, Fondazione, Comune e Provincia decidono la fusione Montepaschi-Bnl.

La Fondazione avrebbe controllato il 30 per cento della nuova banca e gli spagnoli di Bilbao il 15 per cento. Ma Fazio vuole fermare la Fondazione al 20 per cento e gli spagnoli al 10. Così blocca tutto.

All´uomo di Rocca Salimbeni che va a chiedergli il perché risponde: «Guardi, che questa è anche la posizione della sua parte politica». Cioè il vertice dei diesse.


Il progetto di Consorte per prendere con l´Unipol la Bnl era già in fase di lancio e il governatore era ancora l´uomo che, ad ogni uscita pubblica, fosse nella sala delle Considerazioni finali o in un convento protetto dai Legionari di Cristo, stangava il governo Berlusconi.

Al Botteghino l´intraprendenza dell´ingegnere chimico di Bologna andava più a genio della boria spocchiosa degli uomini di Siena, seduti su 8 miliardi di euro di capitalizzazione in Borsa, 1800 sportelli, 27 mila dipendenti e 600 milioni, o giù di lì, di utili.

Consorte, all´inizio degli anni Novanta aveva preso in mano una Unipol disastrata, carica di 800 miliardi di lire di debiti.

Con l´iniziale aiuto di Cuccia la quota in Borsa, la risana e si lancia in una grande campagna di acquisizioni, la Bnl-Vita, la Winthertur, fino a farne il terzo gruppo assicurativo italiano.

Cancella quelle che Pierluigi Bersani chiama le «abitudini preistoriche» del mondo della cooperazione e fin dal 1999, ai tempi di quella che fu la madre di tutte le privatizzazioni, l´Opa su Telecom, si getta nella finanza creativa.


Non tutto il piccolo mondo antico delle cooperative apprezza le nuove tecniche da capitalismo d´assalto, ma il tosto abruzzese trapiantato a Bologna va come un treno protetto da una costruzione societaria che gli dà un potere assoluto, un castello senza ponti levatoi, protetto da un intreccio di partecipazioni incrociate e di scatole cinesi.

Su Consorte comanda soltanto Consorte, la politica è la sponda, ma gli affari sono gli affari. Con Fiorani? Con Gnutti? Con Ricucci? Con la Banda d´Italia? Con i cattivi ragazzi protetti da Fazio contro i pessimi ragazzi del capitalismo calvinista del Nord Europa? Questo offre il mercato del finanziarizzato capitalismo nostrano.
Nessuno ha più voglia di andare troppo per il sottile, soprattutto se le cedole sono succulente.


Ma c´è un piccolo, insignificante particolare: il boccone Bnl per il Bonaparte manageriale (definizione di un antico cooperatore come Lanfranco Turci) è troppo grosso, bisogna tornare a bussare alla porta di Rocca Salimbeni.

Ma quelli, sotto la Torre del Mangia, sono anarchici, spocchiosi e superstiziosi. E sanno anche far di conto. Col reintegro di Gnutti torna solo l´incognita jella.