14 Dicembre 2005
Il banchiere e i suoi “bad boys” cresciuti all’ombra di Fazio
Autore: Alberto Statera
Fonte: la Repubblica
Dopo tanto parlarne, la gelida notte della caccia alla “Banda d´Italia” è scoccata, con la Guardia di Finanza sguinzagliata alla cattura dei “bad boys”.
Primo fra tutti quello che, all´ombra dell´unica istituzione che conservava un pizzico di eccellenza al paese, appare il loro capo.
L´uomo che, con la banchetta periclitante dei “Furmagiàtt”, ha messo a ferro e fuoco quel che restava del tisico capitalismo italiano e della evanescente credibilità internazionale dell´Italia.
Quel Fanfulla da Lodi da pochade, quel beltomo di provincia, colonia e brillantina, che poteva permettersi di “baciare in fronte” la massima icona dell´economia italiana, di fare costosi regalini alla consorte del governatore della Banca d´Italia e, a quel che si narra, di godere dell´affettuosa amicizia di una delle sue figlie. Gianpiero Fiorani e Antonio Fazio: una coppia tragica e al tempo stesso comica, in bilico tra i tormenti di Faust e le “Vacanze di Natale” di Boldi e De Sica.
Tra la cessione dell´anima al Maligno, per un disegno di potere maturato tra ville in Costa Azzurra e in Costa Smeralda, acquistate a suon di miliardi, jet privati, superyacht, e un sottobosco di faccendieri, affaristi di quarta, finanzieri da codice penale.
Nella notte gelida delle Procure e della Guardia di Finanza va in scena «il nuovo tornado politico-giudiziario» che prefigura l´ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, paventando gli «eccessi» di Mani pulite?
O, dopo le intercettazioni telefoniche dell´estate, lo squarcio di un costume italico pizza e fichi, il primo autentico capitolo della storia di un golpe finanziario che era destinato a condizionare gli equilibri economico-politici del paese?
Quel che è certo, dopo mesi di inchieste, è che non ci troviamo di fronte a singoli episodi di criminalità economica ma all´agire coordinato, se vogliamo malamente, di un gruppo di potere determinato e senza scrupoli, nel vuoto della politica e nella debolezza dei cosiddetti poteri forti.
Forse tutto comincia persino un lustro fa, con la madre di tutte le privatizzazioni, la Telecom. La razza padana ricca, ignorante e velleitaria, che manda a segno un´impresa impensabile, meritando le congratulazioni ai «capitani coraggiosi» di Massimo D´Alema, il primo presidente del Consiglio ex comunista, sinceramente proteso a cercare di innovare il rachitico e autoreferenziale capitalismo italiano.
Se un baluba come Emilio Chicco Gnutti, ras con foulard del baretto di Brescia e delle sfilate di auto d´epoca, riesce in un´impresa come Telecom qual è mai il palazzo d´inverno che non si può conquistare con spregiudicatezza, con giuste relazioni e cupole un po´ trasversali?
Cuccia non c´è più, Agnelli non c´è più, gli Orlando, i Pirelli, i Falck, sono ricordi del passato. Poco a poco l´ala nobile del capitalismo senza capitali, che piuttosto spesso fu alquanto ignobile, si è dissolta lasciando dietro di sé il nulla.
Se non a palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, l´uomo che dall´ala nobile fu sempre rifiutato come un intruso.
I capitali? Oggi Sono nelle banche. Basta saperli estrarre, come il petrolio. Deputati all´opera, fin dai tempi di Sindona, furono sempre i palazzinari, compreso a suo tempo Berlusconi con la Banca Rasini e col Monte dei Paschi di Siena controllato dalla massoneria.
Basta ripetere in grande il solito schema, soprattutto in tempi di bolla immobiliare speculativa, di finanza creativa, di cartolarizzazione. Non serve neanche più creare quartieri come Milano-2, basta intermediare.
Così si prende un ragazzotto sfigato di Zagarolo, fallito come odontotecnico, ma voglioso di far tanti soldi, e se ne fa il finto scalatore di tutto: l´Antonveneta, la Banca Nazionale del Lavoro, persino la Rizzoli – Corriere della Sera, tempio presunto del potere politico – mediatico.
Ma non è tanto Ricucci, è piuttosto il «filo rosso» che lega i vari personaggi del bosco e del sottobosco emersi in questi mesi a far pensare al peggio.
Non a un caso di normale criminalità economica, la Cirio, Cragnotti, la Parmalat, che pure s´iscrivono nello stesso filone politica-banche-favori-soldi facili – risparmiatori truffati.
Ma un disegno di potere del nuovo capitalismo straccione che s´intreccia alle peristalsi della politica alla vigilia delle elezioni della prossima primavera.
Forse non è troppo presto, ora con i primi arresti che dobbiamo ritenere sufficientemente motivati, per tentare di disegnare un albero genealogico della Banda d´Italia, di cui per ora il capo riconosciuto è il banchiere velleitario di Lodi. Fiorani-Fazio: un governatore della Banca d´Italia debole, assediato al momento da un ministro del Tesoro come Giulio Tremonti, duro cattivo, vendicativo. Una sponda furba, familiare, rampante, come Fiorani.
Un principio forte: la difesa dell´italianità delle banche dal dilagare dei calvinisti del Nord Europa, come gli olandesi dell´Abn – Amro. Tremonti fa terra bruciata.
Ma perché uno come Fazio, votato a San Tommaso e all´eccellenza predicata dall´Opus Dei di Escrivà de Balaguer, amato in Vaticano, e per anni invocato da tutti, da destra e da sinistra come somma autorità morale ed eventualmente politica, non può aspirare al ruolo di potere cui, da destra e da sinistra, lo candidavano? L´ex governatore Ciampi non è forse presidente della Repubblica?
Fiorani-Gnutti: i capitani coraggiosi, la razza padana, l´imprenditoria emergente del Nordest. Fiorani – Ricucci: il banchiere e la testa di legno, con al seguito i soliti palazzinari, da Bellavista Caltagirone, a quella galassia di conti correnti fiduciari delle banche, i Coppola, gli Statuto.
Quelli a cui alcune banche preferiscono dare i soldi facili. Sullo sfondo il cotè berlusconiano, Letta, Livolsi, Comincioli, che partecipano alle grandi manovre.
E il generone commerciale: Sergio Billè il gran pasticciere del bar di Messina, vecchio democristiano, che mette a disposizione i 100 e più milioni del «fondo del presidente» della Confcommercio per moltiplicare in pochi giorni di cento volte il valore di un palazzo di Ricucci, per la causa.
E che fa anche qualche affaretto personale, con la speculazione di borsa su Rcs, nell´insano sogno, ormai svanito sotto i magli delle Procure, di costituire il suo partito del Sud, o di fare il governatore della Sicilia al posto di quel gentiluomo di Totò Cuffaro.
Ma il ramo più doloroso dell´albero genealogico del presunto golpe finanziario è quello di Bologna, via Stalingrado. E´ a sinistra.
Che ci faceva Giovanni Consorte, grande capo dell´Unipol e, di fatto, della finanza cooperativa rossa, scalatore della Bnl contro gli spagnoli, con questi qui? Perché «concertò» con Fiorani su Antonveneta, ipotesi di reato per cui è indagato?
Ecco, forse è qui il vero segreto della Banda d´Italia, mentre di notte la Guardia di Finanza rastrella i primi bad boys, quelli che condussero l´Italia dal capitalismo nobile e asfittico al capitalismo rampante e straccione.