21 Luglio 2004
I ricatti incrociati sulla pelle del Paese
Autore: Giulio Anselmi
Fonte: la Repubblica
LA RIFORMA delle pensioni, ieri in dirittura d´arrivo, slitta alla settimana prossima. Il Dpef, ossatura della Finanziaria, viene rinviato: non sarà discusso dopodomani, com´era previsto, ma martedì (forse). La manovrina, approvata una decina di giorni fa per tener fede agli impegni presi da Berlusconi con i colleghi europei, si è incagliata tra le diverse anime della maggioranza. Per liberarla, qualcosa sarà fatto, ma nessuno sa cosa: si porrà la fiducia, il Consiglio dei ministri l´ha già autorizzata, assicura il ministro Giovanardi; no, non è prevista, rettifica il vicepremier Fini; “Noi non siamo d´accordo, se però ci fosse una necessità tecnica di andare al voto di fiducia, pur malvolentieri siamo disposti a esaminarla”, salomoneggia serafico un altro ministro, Buttiglione.
A settembre scivola anche la legge sul risparmio, che continua a dividere la Cdl sui nodi centrali delle sanzioni, dei poteri e della durata in carica del governatore di Bankitalia.Uno, due, tre, quattro: gli escamotage dei rinvii e le strumentalità parlamentari coprono altrettanti colpi di maglio alla politica economica del paese, agli impegni presi in campo internazionale, alle garanzie offerte a Europa e agenzie di rating, alle promesse fatte ai risparmiatori travolti dagli scandali Cirio e Parmalat. Basta per dire che siamo alla paralisi Forse no, la lenta ritirata di questo governo da ogni simulacro di efficienza, e dalle riforme annunciate, si trascinerà ancora a lungo, almeno fino alla prossima primavera. Ma si acuisce l´impressione di un degrado senza fine, con la politica ridotta a ricatti incrociati e a un susseguirsi di trabocchetti, di agguati e di tranelli tra i cosiddetti alleati della Casa delle libertà.
L´altolà che ieri la Lega ha dato alla nuova legge sulle pensioni, presentata per di più dal suo ministro Maroni, è l´episodio più grave. Per le conseguenze che può avere e per il significato che assume. La riforma è stata presentata come uno dei punti qualificanti di una stagione di buon governo, all´insegna del risanamento dei conti e di una maggiore giustizia sociale: “ineludibile” ci ha detto e ripetuto Berlusconi, per impedire il crollo dell´edificio previdenziale e garantire i diritti acquisiti e il futuro dei giovani. Le polemiche su un provvedimento che scatta tra quasi quattro anni e introduce (col famoso “scalone”) un elemento di iniquità tra cittadini separati da un minimo lasso di tempo vertono, appunto, sulla sua efficacia e sulla sua giustizia. Ma tutti gli economisti concordano sull´urgenza di un intervento per il quale ci siamo impegnati con i partner europei.
La brusca fermata è giunta imprevista. Dopo la conclusione al ribasso della verifica e dopo il tamponamento dell´uscita di Bossi con l´ingresso di un succedaneo leghista, a Palazzo Chigi si proiettavano sul futuro gli elementi d´inquietudine. I nodi al pettine, si riteneva fino a ieri l´altro, sarebbero venuti a settembre col braccio di ferro sul federalismo: i democristiani, ripeteva aifedelissimi l´ex leader indiscusso, devono capire che sulla devolution non possono mettere le dita negli occhi dei leghisti o, questa volta, rischiamo la crisi a tutti gli effetti. Ma, per l´immediato e sulle pensioni, nella maggioranza si riteneva di aver ritrovato compattezza e di aver superato il rischio d´imboscate. Pochi avevano preso sul serio le avvisaglie di tempesta e avevano notato che il comunicato del Consiglio nazionale leghista, nel prendere atto delle decisioni di Bossi, concludeva: “non possiamo legare il nostro nome al fallimento delle riforme”, cioè del federalismo. Dal sospetto e dall´irritazione dei leghisti è nata la decisione di giocare d´anticipo sul terreno più delicato, quello delle pensioni. Secondo l´opposizione, la Lega ha proposto il rinvio solo per fare pressioni sull´Udc e sui suoi emendamenti centralistici. Incurante del fatto che, così facendo, ridurrebbe una bandiera della Cdl a merce di scambio.
D´altra parte gli uomini di Bossi non sono nuovi ai ricatti, anche se non sono i soli a praticare i veti incrociati. An, col suo desiderio di brandire lo scalpo di Tremonti, ha aperto una crisi al buio le cui conseguenze sono ancora da valutare. E molti sospettano che all´ostinazione irresponsabile dei padani corrisponda la tentazione centrista di attutire la sua rigidità sulla devolution in cambio di un posto per Buttiglione alla Commissione europea. Non sarà vero, per carità. Ma dopo il gran subbuglio di ieri si è autorizzati a pensare tutto e il contrario di tutto: che, come ha detto Alessandra Mussolini, il governo sia “allo sbando e anche stordito”, una moderna babele in cui ciascuno parla la propria lingua incomprensibile agli altri; che ciascun partito, ormai ipnotizzato dalla tutela dei propri interessi in vista di sempre più prossime scadenze elettorali, punti soltanto a galleggiare; che Berlusconi sia ormai convinto dell´ineluttabilità di elezioni nel 2005, dopo aver precostituito le condizioni più favorevoli. Questo spiegherebbe la sua assoluta determinazione a ridurre in ogni caso le tasse, soprattutto l´Irpef, con sovrana indifferenza per i danni che l´intervento – su questo tutti i tecnici sono concordi – provocherebbe a un´economia già affaticata e sovraccaricata da una manovra da almeno trenta miliardi di euro. L´estrema scommessa. Nel frattempo, l´impossibilità di una politica economica che sintetizzi gli interessi dei diversi elettorati della Cdl, costringerebbe al puro galleggiamento. Addio quindi, di rinvio in rinvio, a una seria finanziaria di risanamento e alle riforme scomode come quella sulle pensioni. E poco importa se tra due o tre anni saranno lacrime e sangue. Alla faccia degli appelli di Ciampi, reiterati ancor ieri, sull´unità e sugli interessi della nazione.