15 Settembre 2004
I partiti arbitri del Professore
Autore: Piero Sansonetti
Fonte: l'Unità
Perché nessuno crede che Francesco Rutelli e Romano Prodi abbiano siglato una vera pace durante il loro incontro di martedì? Perché nessuno aveva capito bene i motivi della guerra. Se non sai esattamente quali sono i contrasti è difficile appianarli. Allora partiamo da qui: qual è il motivo della nuova litigiosità che sta sballottando il centrosinistra? I politologi che studiano il centrosinistra dicono che il motivo fondamentale, come al solito, è legato alla questione della premiership. Chi è il leader? Chi è il candidato premier? Chi guida la coalizione? E quali sono i rapporti tra i singoli partiti della coalizione e questo leader?
Il leader è Prodi, o almeno tutti dicono così. Dicono che sul suo nome non ci sono problemi. I problemi sono sul vincolo del mandato a Prodi.
Chi investe Prodi della responsabilità di essere il leader? Nel 1996 il meccanismo era assai semplice: Prodi era la personalità estranea alla politica e al sistema dei partiti che proprio in virtù della sua estraneità otteneva il mandato dei partiti, e in cambio concedeva ai partiti, con la sua autorevolezza, l’”assoluzione” dal peccato di essere partiti. Nel 1996, dopo Tangentopoli, dopo il crollo della prima Repubblica, essere partito era una colpa da far dimenticare. Il mandato a Romano Prodi – lo studioso, il manager, la personalità cattolica di
sinistra, il capo di un gruppo robusto di intellettuali – fu limpido e ineccepibile. Ora non è più così. I partiti sono tornati ad avere un ruolo molto importante nella vita politica, sono le fondamenta della coalizione, non sono più considerati illegittimi e rivendicano il loro spazio e il loro potere. In questo schema come si colloca la candidatura di Prodi? È l’uomo della Margherita e viene candidato perché la coalizione ha deciso che tocca alla Margherita, cioè al centro del centrosinistra (per motivi di marketing elettorale)esprimere il candidato premier? È l’uomo dei Ds? È l’uomo del raccordo tra Margherita e Ds? È un po’ complicata da capire questa questione, però è una questione e non è stata risolta. Non è chiaro quale sarà il mandato di Prodi e quindi a chi e quanto dovrà rispondere.È ovvio che Prodi voglia sfuggire a questo schema e a questa domanda. Cioè voglia evitare di essere un candidato condizionato dal sistema dei partiti. Qual è la via per liberarsi? Ce ne sono un paio. Una è la realizzazione di una federazione riformista che gli permetterebbe di presentarsi come leader di quella federazione, quindi del gruppo di maggioranza della coalizione. Ma è una via complicata, alla quale si oppone gran parte della Margherita e si oppone la minoranza dei Ds.
L’altra via è quella delle primarie. Il voto popolare risolverebbe il problema. Ma chi vuole davvero le primarie e chi è in grado di organizzarle? Solo i Ds hanno una organizzazione abbastanza forte da poter sostenere le primarie. Se si sobbarcano l’impegno ci sono due possibilità: o Prodi prende due milioni di voti, vince le primarie e il partito dei Ds si indebolisce. O le primarie vanno male, Prodi prende pochi voti, i responsabili dell’insuccesso sono i Ds e si indeboliscono.
Perdono comunque: non è una grande prospettiva. In questa situazione complicata si innesta lo scontro tra Prodi e Rutelli. E la posta in gioco è la stessa sopravvivenza della Margherita.
Rutelli controlla il partito e non vuole che si indebolisca. È disposto a sostenere la premeiership di Prodi ma vuole che Prodi dia garanzie al suo partito. Prodi vuole smarcarsi. Non vuole presentarsi come il rappresentante di minoranza del secondo partito della coalizione. Non avrebbe senso. Sa che la sua forza è il prestigio della sua figura e la quasi certezza che il centrosinistra ha bisogno del suo nome per vincere. Teme che da varie zone della coalizione, e in particolare dal suo partito, partano manovre per logorarlo e poi bruciarlo, visto che il 2006 è ancora abbastanza lontano e ormai l’ipotesi di elezioni anticipate non sembra molto forte.
Basta questo schema politicistico a spiegare tutto? No. Sul tappeto c’è un altro problema, grandissimo: in tutto il mondo occidentale, e in particolare in Italia, da qualche mese le forze del centrosinistra sono sedute. Sembrano immobili. La corrente della politica è impetuosa, e dentro questa corrente il centrosinistra, invece di dare grande bracciate, fa il nuoto sincronizzato, cioè il nuoto da fermo. È così negli Stati Uniti ed è così in Italia. La destra, tra mille contraddizioni e enormi difficoltà, si è riorganizzata ed è attivissima.
Bush ha riunificato tutte le anime del conservatorismo americano, Kerry è rimasto a guardare, sembra aspettare che i consensi arrivino da soli, per dono divino. Da noi è lo stesso. Mentre il centrosinistra litiga sulle polemiche che passeranno alla storia come la rissa del “bel guaglione”, la destra si divide su aspetti essenziali della vita pubblica: l’immigrazione, il federalismo, il sistema fiscale, la lotta al terrorismo. Si divide e fa politica. Parla al paese, alla sua gente. Le parti si sono invertite rispetto a una volta: loro discutono della sostanza della politica, dei programmi, della nostra vita.
Il centrosinistra discute in una palla di vetro e nessuno riesce ad appassionarsi ai suoi problemi.
È naturale che in questa situazione si ingigantiscano i problemi personalistici e si incattivisca il clima. È naturale anche che svanisca l”ottimismo che fino a due mesi fa dava per scontata una vittoria elettorale.