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1 Luglio 2005

I Paesi subalterni non hanno diritti

Autore: Giuseppe D'Avanzo
Fonte: la Repubblica

L´OPERAZIONE illegale della Cia a Milano con il “prelevamento forzato” di Abu Omar, non è un´interruzione dell´autostrada Roma-Milano. Non è un piccolo incidente di cui il governo rende conto al Parlamento, con una rapida informazione, spiegando che cosa farà per evitare che i disagi si ripetano.

La forcible abduction dell´Imam egiziano ha tutti i crismi di una grave crisi internazionale che mette in tensione i rapporti diplomatici, politici, militari tra Roma e Washington; tra il nostro governo e George W. Bush, il solo che, secondo la legge che gli Stati Uniti si sono dati dopo l´11 settembre, può autorizzare quelle “operazioni coperte” definite dalla Cia extraordinary renditions.

Anche a voler credere che il premier e Gianni Letta (per delega del premier, l´autorità politica che dirige la nostra intelligence) non ne abbiano saputo nulla (difficile, difficile crederlo), il governo italiano ne esce umiliato.

L´Italia, sul terreno di guerra iracheno, ha il primo contingente in armi dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna che, quella guerra, hanno voluto e organizzato. Berlusconi non ha mai fatto mancare a Washington il suo appoggio politico anche al prezzo di schierarsi, come alla vigilia dell´attacco a Saddam Hussein, contro i suoi storici alleati europei.

La nostra intelligence, di fatto, è stata messa per un lungo periodo al servizio, in Italia, in Europa e in Iraq, delle “operazioni di influenza” pianificate dal Dipartimento di Stato e dall´”Ufficio dei Piani Speciali” del Pentagono (come ben sa il ministro della Difesa, Antonio Martino).

Questa leale e generosa collaborazione, che peraltro ha diviso l´opinione pubblica nazionale, è stata ripagata (se il governo non mente) con un atto di arroganza che viola la sovranità territoriale, la Costituzione e il diritto internazionale.


Già questo profilo dell´affare Abu Omar avrebbe dovuto far sentire al presidente del Consiglio l´obbligo di essere in Parlamento per spiegare come sono andate le cose e che cosa intende fare ora per ripristinare un corretto e dignitoso rapporto con «il nostro miglior alleato».

Un dovere che, in assenza di Berlusconi, avrebbe dovuto avvertire Gianni Letta. In fondo, è lui il “capo dell´intelligence”. È questa responsabilità che Letta ha rivendicato rendendo onore alla salma di Nicola Calipari.

Solitamente nell´ombra e dietro le quinte, in quell´occasione egli volle prendere la parola. Ricordò il lavoro silenzioso e oscuro di questo apparato dello Stato non sempre (a ragione) apprezzato. Reclamò per sé e per gli uomini che dirigeva il rispetto del Paese. Ben fatto, in quell´occasione di dolore, ma anche agevole perché quel lutto trasformava in gloria e onore il lavoro degli agenti segreti e, quindi, anche il suo.


La decisione di Letta di starsene ieri a Palazzo Chigi è una mossa non ardita nel giorno in cui il copione prevede di rendere conto dell´inefficienza (o complicità) della nostra intelligence (Sismi e Sisde) che, con Digos e Ros, si è fatta menare per il naso nel fazzoletto di strade della Milano “islamica” tra le più controllate d´Europa.


L´assenza di Berlusconi e Letta e l´arrivo in Parlamento del povero Giovanardi con due fogliettuzzi e una versione trascurabile (non sapevamo nulla; ora vediamo di sapere; intanto, Berlusconi ha convocato l´ambasciatore americano) non dice soltanto il disprezzo del governo per il Parlamento (dove brillavano per assenza il leader di prima fila dell´opposizione: forse anche per loro si discuteva dell´interruzione dell´autostrada Roma-Milano).


La presenza di Giovanardi sconta l´imbarazzo del governo, ma soprattutto suggerisce che a Palazzo Chigi non hanno la benché minima idea di come si possa venir fuori dall´impiccio, senza perdere del tutto la faccia.

Segnala che le linee di comunicazione tra Roma e Washington si sono interrotte o sono molto disturbate. Convocare l´ambasciatore Mel Sembler è una mossa naturale (ma per dire che per chiedergli che cosa) e soprattutto così tardiva da mettere in sospetto.


Da sedici mesi è pubblica la notizia dell´operazione della Cia. Da quasi due anni, indaga (finalmente) la procura di Milano. Sono tempi sufficienti per due governi alleati, per due premier amici, per due intelligence abituate alla manipolazione e alla menzogna di mettere insieme una versione concordata che regga almeno il vaglio di una prima verifica.

Se, dopo tanto tempo, Berlusconi si tiene lontano dal Parlamento e può soltanto annunciare che vedrà l´ambasciatore americano a Roma vuol dire che non ha ancora un risultato in tasca; che da Washington finora hanno risposto picche a ogni richiesta italiana; che anche la più modesta invocazione di scuse formali e pubbliche è stata respinta.


Il “caso Abu Omar” non è il “caso Calipari”. Nell´assassinio del nostro agente a Bagdad la responsabilità della truppa americana era evidente. L´impreparazione di quei soldati, la loro precipitazione rendeva possibile, politicamente, a Bush chiedere scusa all´Italia. Non così l´extraordinary rendition di Abu Omar.

Quell´operazione è legittima per il governo degli Stati Uniti, doverosa per la sicurezza degli Stati Uniti e, peraltro, prevede che il governo del Paese che la subisce ne sia informato (è accaduto in Germania e in Svezia).

L´indisponibilità di Washington a venire incontro all´imbarazzo di Palazzo Chigi rafforza la convinzione che Berlusconi, Letta, Pollari (Pollari, nei corridoi del Palazzo, aggiunge alla lista anche il nome del capo della polizia, Gianni De Gennaro) sapessero dell´intrusione degli agenti della Cia. Averlo pubblicamente negato in Parlamento spinge la crisi in un vicolo cieco.


Ben venga, il discredito di un sistema che, lungi dal rafforzare la sicurezza nazionale contro il terrorismo, assegna al nostro Paese un ruolo subalterno alla politica di guerra americana anche in spregio di diritti fondamentali che in Italia non sono sospesi o interrotti a tempo indeterminato.