Il governo sarà pure sfarinato, la maggioranza un campo di battaglia, con la grande riforma costituzionale che somiglia a un regolamento di condominio, la politica estera e quella economica che sembrano una parodia. Ma non c’è giorno che dal fronte finanziario non giungano notizie incantevoli per gli affari del presidente del Consiglio, per le sue aziende e per i suoi soci, che diventano sempre più ricchi. Vien da pensare, perché si fa peccato ma non si sbaglia, che il nanismo politico non sia dovuto a insipienza, ma sia perseguito perché fa bene al business.
Scegliamo a caso tra le notizie finanziarie dell’ultima settimana. Ci informa R&S di Mediobanca che Mediaset batte alla grande la Rai in redditività: il risultato “corrente” dell’azienda presidenziale è di 744 milioni, 4,4 volte meglio di quello della Rai, che diventano 11 volte se il bilancio dell’azienda pubblica viene depurato di alcune gabole di bilancio. E’ vero che la Rai era già alla frutta sul piano dei conti, ma anche il primato di ascolto si è ridotto in un anno da 3,5 a 0, 9 punti e si può scommettere che di qui a quando Berlusconi lascerà palazzo Chigi il primato passerà decisamente a Mediaset.
Seconda notizia: il gruppo Mediolanum ha chiuso il primo semestre del 2004 con un utile netto consolidato di 77 milioni, in crescita del 40 per cento rispetto all’anno precedente. Le sole attività italiane hanno registrato un utile netto di 93 milioni, in crescita del 25 per cento.
Come tutti sanno, il gruppo Mediolanum appartiene per il 35,5 per cento al presidente del Consiglio e a sua figlia Marina e per il 36,7 a Ennio Doris, che di Berlusconi è una specie di clone campagnolo. L’uno, metropolitano, ha fatto i primi soldi con le palazzine, l’altro, ragioniere nato a Tombolo, in provincia di Padova, lasciò la mediazione di bestiame per le vendite porta a porta, finchè non incontrò il suo nume, che oggi lo usa come sentinella nel mondo della finanza dalla postazione di Mediobanca. Per dire le analogie di stile tra i due soci, sentite testualmente come Doris, indossando un naso finto da pagliaccio che fa impallidire la bandana, ha arringato i venditori di Banca Mediolanum in una recente convention: “Un saluto agli eroi! Noi siamo i numeri uno! Voi siete i veri highlander! Indistruttibili! Non ci sono guerre, torri che cadono, inflazioni, bolle speculative, crisi che vi hanno fermato! Sapete come reagisco a bandiera bianca su Banca Mediolanum? Volete saperlo? Con una pernacchia!”
Questo è il tipo. Ma chissà se gli highlander sono più disposti all’ovazione da quando hanno saputo che il ragioniere, oggi l’ottavo uomo più ricco d’Italia, ha concluso un accordo con le Poste Italiane che gli consente di utilizzare per la banca sua e del presidente del Consiglio la rete di sportelli più grande del paese, ben 14 mila uffici, una struttura, come ha scritto Attilio Giordano, pari solo a quella dei carabinieri o della chiesa.
Può un’azienda a capitale pubblico come le Poste dare in appalto 14 mila sportelli senza uno straccio di gara e senza rivelare i termini del contratto, dopo aver rifiutato un simile accordo a Deutsche Bank? Sotto il governo Berlusconi può. Alle Poste regna Massimo Sarmi, uomo di fiducia di Maurizio Gasparri, il più arcoriano tra i ministri di An.
Ma “proprietario” delle Poste Italiane, che come dimostra l’accordo di Mediolanum fanno assai gola, non è Gasparri e non è più Tremonti. E’ Domenico Siniscalco, neoministro dell’Economia stimato anche a sinistra, che in agosto ha incassato dal Wall Street Journal il giudizio secondo cui “potrebbe rivelarsi il più valido ministro delle Finanze in Europa”. Il Dpef di Siniscalco reca come asse portante privatizzazioni per 100 miliardi di euro, tra cui è lecito presumere quella delle Poste Italiane. E’ col ragionier Doris che si comincia a privatizzarle? O Siniscalco, che deve mettere mano all’operazione, non sarà disposto a rischiare il credito di cui gode per far piacere anche lui a Berlusconi e ai suoi cari?