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28 Luglio 2004

Governo debole premier forte

Autore: Sabino Cassese
Fonte: Corriere della Sera

Il governo è più debole, il suo presidente più forte. Questo è il risultato, apparentemente paradossale, della lunga crisi, iniziata con le elezioni europee e conclusa (provvisoriamente) con l’uscita dal governo del ministro dell’Economia e del leader della Lega, il rifiuto del leader dell’Udc di entrare nel Consiglio dei ministri e la giravolta della politica economica governativa (dalla riduzione delle imposte e dal rifiuto della manovra, alla preparazione di una manovra di portata superiore alla metà di quella più pesante dell’ultimo decennio, fatta dal governo Amato nel 1992-’93). Come si spiega il paradosso L’uscita dal governo di due forti personalità politiche, da un lato; la nomina dei «secondi», dall’altro, concentrano nel presidente del Consiglio dei ministri l’indirizzo politico.

Se si considera che operazione analoga a quella compiuta ora per il ministero dell’Economia era stata fatta per gli Affari esteri, si comprende che due terzi della politica governativa sono ora sotto la guida diretta del presidente del Consiglio e che il governo non è più il luogo di mediazione tra le forze politiche. Quest’ultimo è stato spostato fuori del governo. Il presidente del Consiglio è divenuto titolare solitario dell’indirizzo politico. Sarà lui a vedersela, fuori del governo, con gli alleati. Al governo spetta l’attuazione e la gestione. Si realizza – in parte – il disegno di un capo dell’esecutivo che, dopo essersi sbarazzato di personaggi ingombranti, proclamò: «Farò vedere agli Italiani come si governa con i direttori generali».

Se questa diagnosi è corretta, bisogna riconoscere che la deriva monarchica del nostro Paese non è stata arrestata, ma accentuata. Per cui c’è da aspettarsi un tripudio di tecnici, incaricati della gestione, purché non abbiano dietro di sé séguiti elettorali. Si potrà concedere a essi, tutt’al più, un seggio in Parlamento. Ma a patto che non si invaghiscano della politica e non diventino capi-partito o capi-corrente.

Dalle premesse discende, però, anche una notevole labilità del governo. Finché vi siedono i capi della coalizione, esso è più forte. Se i leader sono associati solo all’esterno, il governo è più debole. Si ripresenta il dilemma di tante compagini precarie del secondo dopoguerra. Con la differenza, però, che lì anche le maggioranze parlamentari erano precarie, ora non lo sono.

Due insegnamenti discendono da tutto ciò. Primo: il pericolo del cesarismo è insito in un sistema che abbia alla propria base l’appello quotidiano alla pronuncia quinquennale del popolo. Secondo: la Costituzione, come garanzia ultima, è una protezione debole. Se cambiano gli equilibri, essa, pur essendo stata scritta da persone che temevano il bonapartismo, si presta a trasformazioni radicali.

Si pensi soltanto a che cosa accadrebbe della figura del presidente della Repubblica se questa carica venisse occupata dal leader di una solida maggioranza parlamentare. Ci troveremmo, senza saperlo, in una repubblica semi-presidenziale. La Costituzione materiale cambierebbe, senza neppure modificare la Costituzione formale. Ecco un’altra dimostranza della tesi – discussa tra i costituzionalisti – della Costituzione «aperta» (o «debole»).