14 Agosto 2005
Gli anticorpi a difesa della democrazia
Autore: Barbara Spinelli
Fonte: La Stampa
LA questione morale di cui si torna a parlare in questi giorni non è un’invenzione dei magistrati, né di giornalisti allettati da pettegolezzi, né di politici che vogliono farsi strada demolendo non solo il comportamento ma l’essenza stessa dell’avversario, o del concorrente, o dell’alleato. La questione morale non è neppure qualcosa che emerge di tanto in tanto come denuncia assurda, irrealistica, addirittura destabilizzante d’un male italiano endemico, che si trascina nel tempo, che per sua natura non è curabile, che è dunque elemento inevitabile e in definitiva trascurabile della convivenza tra cittadini e dei modi in cui essi son governati.
La questione morale ha avuto nella storia nomi diversi – in passato si chiamò questione delle virtù, del valore o coraggio, dell’onore, della decenza, o più semplicemente dell’esser perbene, come ricorda Sartori sul Corriere della Sera di ieri – ed è innanzitutto una domanda che nasce dentro la società e le sue classi dirigenti, quando gli uomini che compongono l’una e le altre non sono, per dirla con Leonardo, meri transiti di cibo.
La domanda suona così: i politici che governano o vogliono governare si comportano come si deve? (dal che si vede che morale è anche scabro, ripido senso del dovere). Le autorità pubbliche incaricate d’esser neutrali vigilano in modo veramente neutrale su imprenditori, banchieri, politici, o permettono a amici e protetti di violare o aggirare le leggi? Tutti costoro rispettano quell’insieme di regole scritte e anche non scritte che tengono insieme la società ed evitano lo sprofondare in guerre di tutti contro tutti? La questione morale non è molto diversa dal contratto sociale: se non viene posta quotidianamente, è la società stessa a perder la bussola e sfaldarsi. Considerarla una questione antiquata o astratta, e liquidarla affibbiandole l’attributo sprezzante di moralismo, equivale a una rottura del contratto e a una defezione delle élite.
Questo vale per ciascun cittadino e qualsiasi politico; per la destra, il centro e la sinistra. Ciascuno ha l’obbligo di porsi la domanda sul corretto modo di agire prima ancora che intervenga il magistrato, prima che la scorrettezza o il reato vengano consumati, nel momento in cui la tentazione di trasgredire insorge e non solo quando alla tentazione già si è ceduto. L’agire morale riguarda la fase che precede la linea di confine a partire dalla quale i comportamenti diventano penalmente rilevanti. Se la morale viene dopo e non prima ci saranno espiazioni o punizioni o revisionismi storici, ma non ci sarà agire etico in senso stretto. Anche in questo Sartori vede giusto – a mio parere – quando scrive, a proposito dell’alleanza tra affaristi che De Benedetti ha stipulato e poi revocato con Berlusconi politico: «Ho dato le dimissioni (dall’associazione Libertà e Giustizia di De Benedetti, n.d.r.) in risposta a un comportamento che c’è stato, e perciò non le ritiro».
C’era un tempo in cui la sinistra storica in Italia, impersonata dai comunisti, pretendeva di avere una sorta di primato morale, e di esser perciò esentata da indagini riguardanti l’etica. Ma da allora i tempi sono cambiati, è come se da una dismisura fintamente etica i Ds fossero passati a una dismisura fintamente liberista, e la trasformazione appare radicale se si guarda a numerosi fatti comprese le ultime intercettazioni. Questo primato, il partito di Fassino e D’Alema non solo non l’ha più, ma apparentemente non vuole più averlo. Non di rado l’aspirazione di molti suoi dirigenti – da quando il comunismo mondiale è caduto – sembra esser quella di mostrarsi eguali a tanti altri, spregiudicati come tanti altri, condiscendenti come tanti altri, su punti essenziali: sul rapporto fra giustizia e politica, fra politica e affari, fra politica e informazione.
Questo loro mettersi al passo coi tempi moderni fa pensare alla traiettoria di molti postcomunisti dell’Est Europa: convertitisi all’economia di mercato, questi pensano ora che il capitalismo non abbia una storia fondata su pratiche di autolimitazione e su leggi disciplinanti, ma che assomigli quasi per intero all’immagine statica che Marx si fece dell’economia di mercato, quando descrisse il capitalismo speculatore e selvaggio. Questo capitalismo caricaturato si son messi ad abbracciare.
Tale singolare metamorfosi è come fosse spesso oscura agli stessi eredi del Pci. Pur volendo rinunciare al primato nelle condotte del Bene, sanno di avere quell’antica aspirazione nel sangue e non consentono che altri s’indignino là dove loro non s’indignano più. Per questo non sopportano che nel centro sinistra non siano i Ds a porre con determinazione la questione morale, ma che per primi abbiano parlato Rutelli, e poi Parisi. I Ds in genere, tranne qualche eccezione, son stati circospetti, su tutte le questioni riguardanti etica ed economia, finanza e vigilanza bancaria. Molto del loro tempo e della loro cura, l’hanno dedicato a difendere la scalata delle cooperative di Unipol sulla Banca Nazionale del Lavoro e a sottolineare una diversità – tra Consorte Presidente di Unipol e Fiorani scalatore di Antonveneta – che col passare dei giorni tende a svanire.
Non sembrano esserci illeciti, nella condotta dei Ds. Ma sembra esserci corrività verso comportamenti probabilmente illeciti, soprattutto sembrano esserci strane pericolose amicizie che nella loro qualità di politici essi hanno stretto con uomini d’affare, e questa confusione di ruoli è già non morale. Per il cittadino comune, non c’è poi molta differenza tra un governante che difende le proprie aziende (Berlusconi), e un governante in pectore che difende le sue. I principali dirigenti Ds richiamano tutti gli imprenditori e banchieri alla legge, ma spesso non nascondono i loro favori e in tal modo stravolgono il ruolo del politico che da arbitro diventa regista.
Perfino il linguaggio risente di simile stravolgimento, mescolando categorie del privato e del pubblico. Le parole chiave sono: amicizia, simpatia, ricorrenti nelle interviste di D’Alema, Fassino, Bassanini. Non ci fu forse sostegno a Unipol ma ci fu e c’è simpatia (i sinonimi usati sono: vicinanza, neutralità benevola). Le telefonate intercettate di Fiorani e di Consorte sono illuminanti. Ogni tre minuti Consorte sente il bisogno impellente di telefonare a massimi dirigenti dei Ds o al loro tesoriere. Per ottenere che? Per promettere cosa? Può darsi che siano chiamate innocue, può darsi di no. I cittadini sono in diritto di chiedere che i politici spieghino cosa esse significhino, e quale sia la natura di simpatie che poco hanno a che spartire con l’amicizia tra Achille e Patroclo. L’amicizia è un bene sublime, nell’esistenza d’ognuno, ma in politica e affari la sua essenza è equivoca. Il giudice Falcone, per meglio descrivere la propria frontale battaglia contro la mafia, soleva dire di sé: «Tutti devono sapere che di me non ci si può fidare» (Film di Mauro Parissone, A Futura Memoria).
Le amicizie non chiare tra politica e affari sono il male d’Italia, che Berlusconi ha aggravato trasformandolo in tentazione diffusa. E gli eredi di Berlinguer non ne sono immuni, per il fatto d’avere alle spalle una storia di presunto primato morale. È la prima lezione che forse potrebbero apprendere, dalla prova odierna. Essendo molto cambiati non possono dire, come tendono a dire: «Noi non riceviamo lezioni da nessuno». Possono riceverle invece, perché la loro diversità antropologica non esiste e loro stessi l’hanno revocata. È D’Alema che ha fatto compromessi sulla giustizia con Berlusconi, ai tempi della Bicamerale, che si è implicato nella scalata della Telecom quand’era premier, che usa scegliere tra le scalate come se l’uomo che governa non avesse da essere completamente sopra le parti. Il conflitto d’interessi contagia la destra, e anche la componente maggiore della sinistra.
* * *
Chi denigra la questione morale dice che tutto è cominciato con magistrati e intercettazioni, e s’indigna in primo luogo con essi. Ma abbiamo visto come la morale cominci ben prima delle effettive scorrettezze legali, come lo sforzo di ristabilirla cominci con quegli anticorpi che sono la coscienza in ciascuno di noi, e nei vari organismi della società e dello Stato: anticorpi cui spetta il compito di espellere le cellule malate prima che il male cresca in maniera tale da necessitare il giudice. Questi anticorpi non mancano in nessuna democrazia, e neppure in Italia. È quello che spiegano bene Salvatore Carrubba sul Sole-24 ore del 6 agosto e Marco Onado sul sito di LaVoce.info.
Ben prima che intervenissero magistratura e intercettazioni c’è stata azione morale in senso stretto, dunque hanno agito anticorpi. Ci sono state inchieste di giornalisti e denunce di studiosi, che ipotizzavano abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e aggiotaggio informativo e manipolativo. C’è stato poi l’intervento dell’autorità che vigila sulle società e la Borsa (Consob): fin dal 10 maggio essa ha illustrato in una delibera gli illeciti gravissimi commessi da Fiorani (violazione delle regole di funzionamento del mercato finanziario e bancario, aggiotaggio, insider trading). All’interno stesso di Banca d’Italia infine, nei primi di luglio, vi sono stati funzionari che con fermezza hanno fatto prevalere le considerazioni tecniche sulle pressioni ricevute. Anche questa è condotta morale, come sappiamo.
L’etica infatti non è solo reazione a virtù lese da altri: c’è agire virtuoso anche quando ciascuno – nell’ambito che è il suo – fa il proprio dovere. Chi s’indigna per l’emergere della questione morale non scorge evidentemente altro, di cui indignarsi. Ritiene che il male non sia in fondo curabile: di esso non si sdegna più, in parte per cinismo disilluso, in parte per rassegnazione, in parte per complicità, in parte per ignoranza di quelli che sono i doveri d’ognuno. È quello che spiega l’odierno contagio di comportamenti non virtuosi. In genere chi non denuncia la questione morale si perde nei meandri del passato e a questi anticorpi bada poco perché essi contraddicono la visione di una storia ineluttabilmente negativa.
Ma esiste in Italia anche una storia di anticorpi possenti, grazie ai quali la società e la politica sempre tornano a riprendersi. Sono le storie che narrano di coraggiosi e solitari come Falcone e Borsellino. Di studiosi e giornalisti come Sylos Labini, Sartori, Montanelli. Di politici come Luigi Einaudi, Nino Andreatta. Si può immaginare che il Presidente della Repubblica, quando parla di schiena diritta, non si riferisca solo alle schiene dei giornalisti. Anche se rari, gli anticorpi dimostrano ogni giorno di esistere, confermando come la questione morale ci stia di fronte a ogni ora, e come il valore forte delle persone non sia polvere d’altri tempi. La magistratura occupa l’intero spazio solo quando essi s’assottigliano, o tacciono. Gli anticorpi hanno funzionato in passato. Possono tornare a funzionare, se sappiamo coltivarne il ricordo e apprezzarli prendendone esempio.