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17 Ottobre 2006

Giustizia e promesse elettorali

Autore: Carlo Federico Grosso
Fonte: La Stampa

POCO tempo dopo le elezioni un autorevole parlamentare dell’Ulivo mi aveva spiegato che i problemi della giustizia non potevano costituire priorità per il nuovo governo.

Le priorità dovevano necessariamente essere altre: il rilancio dell’economia, il conflitto di interessi, la concorrenza, il riequilibrio del debito pubblico, l’integrazione europea, i servizi essenziali quali sanità e scuola. Dal nuovo corso della politica italiana, con riferimento ai temi di mio specifico interesse, non avrei pertanto dovuto aspettarmi molto.

Eppure le promesse elettorali erano state ben diverse: a coloro che intendevano votare centrosinistra era stato assicurato che, dopo cinque anni di pessime scelte compiute dalla Cdl, in materia di giustizia sarebbe stata voltata pagina.

Sarebbero state subito cancellate le tre o quattro leggi che avevano stravolto una parte consistente del sistema penale (falso in bilancio, Cirielli, Pecorella).

Sarebbe stato elaborato un progetto organico di riforme volte a restituire efficienza all’attività giudiziaria. Sarebbero state salvaguardate l’indipendenza della magistratura e l’efficienza della sua attività mediante una nuova, ragionevole, legge sull’ordinamento giudiziario.

Confesso che, lì per lì, non avevo dato gran peso alle parole dell’amico parlamentare, poiché pensavo ingenuamente che non sarebbe stato possibile tradire le legittime aspettative di migliaia di elettori.

Ho cominciato a preoccuparmi quando dall’elenco dei potenziali ministri e sottosegretari ho visto poco a poco scomparire, in materia di giustizia, i più prestigiosi potenziali candidati dei due più importanti partiti della coalizione.

Indipendentemente dalla maggiore o minore bravura dei prescelti, la circostanza che i partiti più votati non intendessero assumere responsabilità diretta di governo nel settore della giustizia con loro uomini rappresentativi costituiva infatti, oggettivamente, un indebolimento dell’impegno politico a realizzare il programma concordato prima delle elezioni e sulla base del quale era stato chiesto ed ottenuto il consenso.

Tutti d’altronde sappiamo che cosa è accaduto successivamente in materia di giustizia. Nessun politico ha più accennato al problema dell’abrogazione delle leggi ad personam. La riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dal centrodestra in chiusura della passata legislatura, che il centrosinistra si era impegnato a sospendere in tempi brevissimi, non è stata a tutt’oggi né sospesa né abrogata: essa non è stata messa tempestivamente all’ordine del giorno del Senato prima dell’estate, alcune modifiche sono state fortunosamente approvate soltanto una decina di giorni fa a conclusione di una complessa operazione bipartisan e, se la Camera non le dovesse a sua volta approvare in tempi rapidissimi, la riforma rischierebbe di diventare operativa, con gravissimo danno per l’amministrazione della giustizia.

In compenso, prima dell’estate è stata approvata una vergognosa legge in materia di indulto che ha consentito la scarcerazione di numerosi delinquenti pericolosi ed ha, assurdamente, assicurato futura impunità o forti sconti di pena in materie quali la criminalità economica, la corruzione, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, tradizionalmente, e giustamente, escluse dall’ambito dei benefici penali.

Questo quadro non è sicuramente esaltante. Allo scopo di giustificare la condotta del governo in materia di giustizia non varrebbe d’altronde osservare che la sua azione ha subìto inevitabilmente i contraccolpi della mancanza di una maggioranza sicura in Senato. C’era infatti modo e modo di gestire l’emergenza maggioranza.

Si poteva cercare il compromesso con l’opposizione, con la quale le convergenze erano inevitabilmente circoscritte ed alla quale non potevano che essere pagati prezzi salati per l’accordo.

Ma si poteva anche cercare di stringere le file ed andare al voto senza compromessi, confidando nel senso di responsabilità e pertanto nella presenza e nel voto di tutti i senatori della coalizione.

Fino ad ora, con la scusa che le questioni concernenti la giustizia sono sempre questioni istituzionali su cui sarebbe comunque auspicabile raggiungere ampie convergenze parlamentari, il governo ha cercato di seguire la prima strada: c’è stato infatti compromesso sull’indulto, c’è stato compromesso in Senato sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.

Non si conosce fino in fondo con quali costi reali. Con maggiore coraggio e maggiore rispetto per i suoi elettori il centrosinistra potrebbe invece optare, in futuro, per la seconda strada e cercare di realizzare, senza dolorose e forse inutili amputazioni, il programma con il quale si è presentato alle elezioni. Con buona pace dei pontieri che albergano sull’una come sull’altra sponda politica.

Esiste d’altronde una regola molto semplice di moralità spicciola: le promesse devono essere per quanto possibile mantenute. Si tratta forse di una banalità, ma i nostri governanti dovrebbero tenerla comunque in considerazione ed evitare che le promesse elettorali, si tratti delle regole dell’imposizione fiscale piuttosto che della riforma della giustizia, siano tradite.

Poiché in caso contrario gli elettori, anche quelli più affidabili, potrebbero prima o poi stancarsi per davvero e definitivamente.