10 Gennaio 2006
Furbetti o citrulli nel Botteghino dei Ds?
Autore: Giampaolo Pansa
Fonte: L'Espresso
La vicenda Unipol dovrebbe spingere Fassino a dare un taglio netto a tutto l’armamentario che rende sgradevole la sinistra italiana
Ci sono soltanto furbetti al Botteghino della Quercia, come ha sostenuto su ‘L’espresso’ Claudio Rinaldi? Oppure ci sono anche tanti citrulli, sia al vertice del partito che fra i big di provincia, quelli che poi comandano davvero, ben più che i Fassino e i D’Alema? Sono per la seconda tesi, confortato da un’esperienza recente che mi ha portato a presentare un mio libro in molte città dell’Italia del nord, quasi tutte governate dal centro-sinistra e dove i Ds sono di gran lunga il partito più forte.
Quel che ho visto mi fa sorridere di sardonica soddisfazione. In tanti posti i Ds, a cominciare dai sindaci e dai dirigenti delle federazioni, hanno cercato di farmi il vuoto attorno, con il pretesto falso che ‘denigravo la Resistenza’. Si affannavano contro un giornalista e non si accorgevano che stava per cadergli sulla testa la maxi-tegola dell’Unipol. Il caso più grottesco è quello di Reggio Emilia. A parte l’Associazione riformista Valdo Magnani, la strapotente burocrazia della Quercia si è fatta venire il mal di stomaco per il sottoscritto. Nel frattempo, si scopriva che nella città rossa si era infiltrata l’ndrangheta, con tanto di arresti. E che uno dei loro eccellenti, l’Ivano Sacchetti, spalla del compagno Gianni Consorte, stava per essere incriminato e ruzzolare dal piedistallo.
La presenza sovrabbondante di citrulli è poi confermata dalla convinzione che, uscita di scena la diabolica coppia Gianni & Ivano, tutto possa ritornare a posto nell’Unipol e nell’arcipelago delle cooperative rosse. Ma questa è una pia illusione. Per cominciare, rimane l’enigma di quei 50 o 48 milioni di euro, incassati all’estero e su conti cifrati, per presunte parcelle professionali. È una somma enorme, quasi 100 miliardi di vecchie lire, che obbliga a due domande. Davvero il vertice della Lega delle cooperative non ne sapeva niente di niente, come ha dichiarato alla ‘Stampa’ il presidente Giuliano Poletti? E davvero quella montagna di soldi era destinata soltanto a fare di Gianni & Ivano due nababbi di provincia?
Queste domande generano altri quesiti che è naturale proporsi. Parte di quella iper-somma era riservata ad altre persone e per altri scopi? È possibile che si trattasse di una super-tangentona da dirottare, per esempio, verso il Botteghino o i suoi dintorni? Vannino Chiti, il solo dirigente rimasto a fare la guardia al bidone di via Nazionale e dunque l’unico a dover parlare nelle vacanze di fine d’anno, ha replicato con sdegno: “Per l’onore del partito, non tolleriamo schizzi di fango”. Forse avrà ragione, ma l’anatema contro gli schizzi di fango l’ho sentito molte volte nei due anni ruggenti di Tangentopoli. E quasi sempre si scopriva che erano schizzi di soldi, e spesso schizzi grossi e grassi.
Anche l’arcipelago delle Coop rosse si presta agli stessi dubbi. L’elettore critico di sinistra, quello pieno di se e di ma, si chiede: è possibile che tutto si riduca ai due presunti geni del male, con quelle maschere facciali da commedia dell’arte, il tronfio Consorte e lo spiritato Sacchetti? Oppure c’è dell’altro? La procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati l’Unipol per non aver saputo prevenire i reati che sarebbero stati commessi da suoi dirigenti. Ma l’elettore malmostoso va più in là. Intravede troppi miliardi in nero, troppe tasse non pagate, troppi guadagni in Borsa grazie a manovre illecite, troppe alleanze indecenti rispetto alla conclamata etica cooperativa. E scopre una grande fogna, stavolta non in casa del Berlusca, bensì in casa propria.
In questa pozza nauseabonda affonda per sempre ‘il complesso dei migliori’, come l’ha chiamato il sociologo Luca Ricolfi. Ossia la convinzione della sinistra di essere eticamente migliore della destra, una sicurezza ferrea e ben radicata in gran parte della nomenklatura diessina e in tanti dei suoi elettori. Ma dal male può venire un bene. La tragedia Unipol dovrebbe spingere i leader della Quercia più accorti e umani, e per primo Piero Fassino, a dare un taglio a tutto l’armamentario che spesso rende sgradevole (e antipatica, per dirla con Ricolfi) la sinistra italiana.
Lo conosciamo questo groviglio di vizi pubblici, per averlo incontrato e descritto molte volte. Un fenomenale complesso di superiorità, da sbattere in faccia ad alleati e avversari. La spocchia personale. La puzza sotto il naso. L’irrisione e l’esclusione di chi non sta al gioco. La sicurezza arrogante di essere insuperabili, come il tonno dello spot, nel governo, nell’amministrazione, nella manovra politica, nell’analisi intellettuale, nell’onestà. Il considerare ogni critica un complotto orchestrato da una Spectre nemica del partito.
Ecco la robaccia che trasforma un dirigente in un ras. Ma la Quercia può essere un partito di ras? Penso proprio di no. I ras stancano la gente e allontanano i voti. Furbetti e citrulli, attenti a non stancare. Favorite soltanto la vostra rovina. E quella della vostra parrocchia.