«Il nostro partito ha accumulato una
grande esperienza di pluralismo che ha fatto convivere aree, sensibilità
diverse e diverse minoranze. Non si capisce perché tutto questo non possa
continuare in un Pd, plurale nella sua composizione, che avrà bisogno –
ancora di più – di rendere evidenti le sue tante anime. Personalmente sono
favorevole che si vada – a livello locale, regionale e nazionale – a
gestioni unitarie della Quercia. In modo che tutte le articolazioni dei Ds
abbiano la possibilità di concorrere al percorso costituente del Pd. Con
un’assunzione piena di responsabilità, che faccia valere fino in fondo le
diverse posizioni».
Lei propone a chi non crede nel Pd di favorirne il parto.
Non le sembra un paradosso?
«Tra gli esponenti che hanno sostenuto le
nostre diverse mozioni ci sono dirigenti che, nell’89, dissero no alla
svolta. Ma che, poi, sono rimasti nel partito, e ne sono diventati
dirigenti. Perché non può accadere anche con la formazione del Partito
democratico?»
Le risponderebbero che Pds e Ds rimanevano saldamente ancorati
a sinistra, mentre il Pd muoverà verso il centro…
«Ma non è così. Noi
non stiamo dando vita a un partito moderato o centrista. Ma a un partito
riformista e progressista che assolva la funzione di timone di un’alleanza
di centrosinistra. La stessa che, negli altri paesi europei, svolgono grandi
partiti socialisti e socialdemocratici. Funzione che in Italia, per ragioni
storiche e non di cedimento politico, richiede un grande Partito
democratico. Non è per cattiva volontà di Fassino se in Italia c’è storicamente una forte e radicata presenza cattolica. E in Italia, poi, c’è
un riformismo plurale anche nella sinistra. E c’è un riformismo di carattere
liberal-democratico e un riformismo ambientalista. Insomma, bisogna dar vita
a una realtà più complessa e plurale dei grandi partiti socialisti e
socialdemocratici europei. Ma la funzione che il Pd deve assolvere in Italia
è analoga a quella che quei partiti svolgono nel resto d’Europa».
Partito
del lavoro, si era detto…
«Si, vogliamo dare vita a un grande partito che
rappresenti il mondo del lavoro. Che sia capace anche di realizzare una
riforma dello sviluppo – nella direzione della sostenibilità ambientale e
sociale -; di affrontare la crisi democratica; di riformare la politica; di
promuovere partecipazione; di rinnovare le classi dirigenti; di parlare alle
donne e ai giovani; di promuovere il merito e il talento; di favorire la
pace e di costruire una società solidale, multiculturale e multietnica.
Queste, come si vede, sono caratterizzazioni da partito progressista. Altro
che moderati, quindi».
E sulla laicità dello Stato?
«Il Pd dovrà essere
capace di affrontare anche i nodi dei diritti civili e dei temi eticamente
sensibili. Potrà rappresentare, anzi, l’occasione per una grande stagione di
confronto tra credenti e non credenti. Proprio sull’Unità Gustavo
Zagrebelsky ha sostenuto che una politica che si avvii ad essere scontro tra
due «non possumus», produce solo guerra civile. Come si evita questo se non
attraverso la ricerca di un nuovo umanesimo e di un nuovo rapporto tra fede
e politica? E di tutto questo perché non deve essere partecipe un compagno
della sinistra Ds che, pure, – al congresso – non ha condiviso il progetto
del Partito democratico? Oggi si sta aprendo una fase nuova nella politica
italiana. Per questo non possiamo rimanere fermi…
Allude anche all’Udc che
vota con l’Unione sull’Afghanistan, staccandosi dalla Cdl?
«Il voto
sull’Afghanistan segna un discrimine. È del tutto evidente, ormai, che
Berlusconi e Fini sono mossi, in modo quasi ossessivo, dall’obiettivo di far
cadere il governo per andare a elezioni anticipate. Dopo la figuraccia
rimediata durante la crisi politica di qualche settimana fa, quando si
presentarono al Quirinale in ordine sparso, cercano di recuperare un minimo
d’immagine davanti al loro elettorato. Fanno la faccia feroce e puntano in
modo esplicito a destabilizzare il quadro politico. Il carattere strumentale
di questa linea è dato proprio dall’argomento che hanno scelto: il decreto
sull’Afghanistan che, dal 2001, viene votato ogni sei mesi dal Parlamento e
al quale la Cdl ha sempre detto sì».
Forza Italia e An non hanno votato
no, si sono astenute…
«Al Senato lastensione equivale a un voto
contrario. L’opportunismo politico della destra è dimostrato anche dal fatto
che vuole votare contro, ma non ha il coraggio di dirlo. Questo
atteggiamento irresponsabile, tra l’altro, ha determinato un ulteriore
allontanamento dell’Udc dalla Cdl».
Questo rafforzerà la maggioranza?
«Noi
siamo interessati a un rapporto con l’Udc e la Lega che possa ampliare le
dimensioni politiche della maggioranza. Nessuno di noi vuole praticare la
politica dei due forni. Ma vogliamo determinare un percorso che possa
consentire di allargare il centrosinistra, sempre nella logica della
democrazia dell’alternanza. La conclusione della crisi politica dello scorso
febbraio, tra l’altro, ha dimostrato che non c’è altro governo se non quello
fondato sulla maggioranza che ha vinto le elezioni. Il governo Prodi non è
transitorio. Non è lì a tenere caldo il posto in attesa di qualcosa d’altro.
È l’unico che può governare il Paese. E noi, nei primi dieci mesi, abbiamo
dimostrato di saper governare».
Ma il tema degli equilibri precari al
Senato rimane sul tappeto…
«Non perché il centrosinistra sia precario, ma
per via di una legge elettorale che crea instabilità. Se avesse vinto la Cdl
avrebbe dovuto fare i conti con lo stesso problema. Di qui la necessità di
aprire un confronto tra maggioranza e opposizione sulla legge elettorale e
sulle riforme istituzionali. E mi pare che si stia profilando una
disponibilità interessante della Lega e dell’Udc , che noi intendiamo
ulteriormente approfondire. Naturalmente, ci auguriamo che Berlusconi e Fini
non assumano, sulla legge elettorale, lo stesso atteggiamento di ostilità
pregiudiziale e ostruzionistica tenuto sull’Afghanistan e sul decreto
Bersani».
Altrimenti andrete avanti ugualmente con Lega e
Udc?
«Svilupperemo certamente il confronto con Udc e Lega, continuando a
ricercare uno spazio di ragionevole incontro anche con le altre forze
politiche di opposizione. L’iniziativa per rilanciare il governo e
l’apertura di una stagione di confronto riconducono, peraltro, al grande
tema che deve segnare l’apertura di una nuova fase: la costruzione del
Pd».
Quali tappe immagina dopo i congressi nazionali di Ds e
Margherita?
«Con la conclusione dei congressi territoriali dei Ds e della
Margherita, siamo di fronte a un passaggio di fase. Durante la prima fase,
che era iniziata a Orvieto, si sono discussi i lineamenti del progetto.
Adesso il dibattito non sarà più incentrato sul se ma sul come realizzare
il percorso costituente. Al passaggio tra prima e seconda fase arriviamo
sull’onda dei 6500 congressi delle sezioni Ds. Hanno visto la presenza di
oltre 250mila iscritti. Una partecipazione che supera quella di tutti i
congressi precedenti. Io vengo riconfermato per la terza volta segretario
con il voto di oltre 200mila iscritti, tanti i suffragi raccolti dalla
mozione che ho presentato».
Lei elenca i numeri anche per confutare la
tesi della fusione a freddo tra Ds e Margherita?
«Sì. Li elenco perché
smentiscono l’immagine caricaturale di un partito dei Ds stanco, freddo,
deluso, trascinato controvoglia verso una decisione che non voleva prendere.
L’alto grado di partecipazione, la passione che ha contraddistinto il
dibattito congressuale, il fatto che la mozione per il Pd abbia registrato
un consenso superiore al 75%, sono la testimonianza più evidente che il
nostro partito è ben consapevole della sfida ambiziosa che ha di fronte. In
questi stessi mesi, tra l’altro, si sono svolti anche i congressi della
Margherita, che hanno visto anch’essi una partecipazione ampia. Mentre è
cresciuta, via via, la vitalizzazione di forze esterne ai partiti. Penso
alla costituzione del coordinamento nazionale tra le associazioni per il
Partito democratico, Libertà e giustizia, Cittadini per l’Ulivo; penso alle
molte manifestazioni alle quali ho partecipato; penso all’incontro con 150
dirigenti di tutto l’associazionismo politico-sociale; penso alle iniziative
con il mondo accademico e universitario; penso al convegno con oltre 3000
esponenti del mondo ambientalista. Nella società c’è molta attesa, dobbiamo
rispondere senza indugio»
A quando la nascita del Pd, quindi?
«I congressi
nazionali dei Ds e della Margherita saranno il momento d’avvio di una
seconda fase, che dovrà essere caratterizzata da una forte dimensione
partecipativa e da una ancora maggiore apertura alla società. L’intesa tra
Ds e Margherita è essenziale, ma il Pd non dovrà rappresentare la sola somma
tra Ds e Dl. L’ambizione molto più grande, intanto, è quella di coinvolgere
altre forze politiche di ispirazione riformista. Non ci rassegnamo all’idea
che i socialisti debbano restare fuori da questo processo. E riteniamo che
vada valorizzata la partecipazione del vasto mondo degli ambientalisti e
delle forze di ispirazione liberal-democratica e repubblicana.
Contemporaneamente dobbiamo aprire il processo anche ai soggetti sociali e
ai cittadini».
Questo cosa significa dal punto di vista
organizzativo?
«All’indomani dei congressi si dovrà costituire un Comitato
promotore nazionale del Pd, presieduto da Prodi e composto dalla principali
personalità, sia politiche che della società. E, a livello dei territori, si
dovrà sviluppare – in tutta Italia – una rete di comitati locali per
promuovere una grande stagione di dibattito intorno al manifesto del Pd.
Alla sua definizione – partendo dalla proposta dei saggi – dovranno
partecipare tutti coloro che lo vogliono. Sulla base di questa rete, poi,
con regole che il Comitato nazionale dovrà stabilire, si dovrà andare alla
convocazione di un’assemblea costituente a cui partecipino delegati
espressione di tutto l’arco delle forze impegnate nella costruzione del Pd e
dei comitati promotori locali».
Quando potrebbe riunirsi questa
Costituente?
«Si potrebbe riunire entro la fine dellanno. Servirà a
licenziare il manifesto, ad approvare lo statuto e a lanciare la terza
fase. Quella che porterà alla formazione delle organizzazioni di base del Pd
in tutta Italia e alla convocazione del congresso di fondazione che, secondo
me, si dovrà svolgere, prima delle amministrative del 2008».
Ma non
avevate fissato il traguardo alle europee 2009?
«Il tempo che c’eravamo dati
in origine, le europee del 2009, appare ormai a tutti troppo lungo rispetto
a una situazione politica in movimento che richiede maggiore tempestività.
Il turno elettorale del maggio 2008, tra l’altro, sarà un grande
appuntamento. Oltre il 40% dell’elettorato verrà chiamato alle urne. E Il Pd
dovrà essere pronto per quelle elezioni. La mia è una proposta,
naturalmente. Non potremo decidere né io né i Ds da soli. Questo processo,
però, richiede che i Ds partecipino da protagonisti con tutta la ricchezza
della loro energie e delle loro forze. Ed è per questo che non vedo ragioni
perché settori del nostro partito debbano abbandonare i Ds. Si è fatto un
congresso, reclamato prima di tutto dalle minoranze, che chiedevano che gli
iscritti fossero messi nella condizione di discutere e decidere. Gli
iscritti hanno partecipato e hanno detto sì al Pd, e a voto segreto. Fa
parte del modo di essere di una grande comunità di donne e uomini liberi,
come siamo noi, rispettare le regole della vita democratica. Vorrei
ricordare, tra laltro, che il sistema politico italiano non sente il
bisogno di ulteriori frammentazioni».
Cè chi propone nuove aggregazioni
a sinistra, però…
«Il processo di formazione del Pd sta determinando
cambiamenti anche negli altri. Berlusconi e Fini discutono dar vita a un
grande partito conservatore. Alla nostra sinistra Pdci e Prc accarezzano
l’idea di aggregarsi. Intorno a quale disegno politico, però, i compagni
della sinistra interna pensano di allontanarsi dai Ds? Qualcuno vagheggia
un’intesa con lo Sdi per fare un partito socialista. Ma chiunque sa che le
posizioni della nostra sinistra interna – sull’Afghanistan, sulla Biagi o
sulla Tav ad esempio – spesso sono agli antipodi di quelle dello Sdi. Ho
l’impressione che il semplice riferirsi al socialismo europeo non sia
sufficiente a far nascere progetti e politiche condivisi. E – d’altra parte
– l’idea che si possano lasciare i Ds per unirsi al Prc e Pdci, del tutto
legittima, non va certamente nella direzione del socialismo europeo, ma
verso quella di creare in Italia una sorta di Izquerda unida. Anche queste
sono ragioni che portano a dire che è assai più produttivo – anche a chi
esprime posizioni di sinistra più radicali – condurre il proprio impegno nel
Partito democratico».