19 Luglio 2004
Fassino e la voglia di unità
Autore: Goffredo De Marchis
Fonte: la Repubblica
ROMA – «Abbiamo imboccato la strada giusta». È soprattutto il voto amministrativo ed europeo a dirlo. Ma il sondaggio Demos-Eurisko pubblicato ieri da Repubblica viene interpretato da Piero Fassino come una conferma, «che spinge ad un´ulteriore accelerazione». Il segretario dei Ds si concentra in particolare sulle luci: l´apprezzamento per la lista e per gli sforzi unitari del centrosinistra e la risposta degli elettori Ds e Margherita così nettamente favorevole all´esperimento del 13 giugno. Le ombre riguardano invece una leadership di Prodi che non appare risolutiva. «I nostri elettori non vogliono il monarca – spiega Fassino – . Non vogliono un Berlusconi e se in passato abbiamo pensato di poterne avere uno anche noi, abbiamo sbagliato».
La ricerca di Ilvo Diamanti dice che siete pronti a governare o no?
«Noi abbiamo introdotto degli elementi di novità nella nostra azione che ci rendono sicuramente più credibili. Ma dobbiamo ancora accelerare sia perché tra dieci mesi ci sono le Regionali sia perché non sappiamo quanto dura la legislatura. Io partirei dalla crisi della destra, che mette a rischio il Paese e pone il problema di una via d´uscita. Non è scritto da nessuna parte che con la nomina di Siniscalco il governo veleggi tranquillo fino al 2006. Il nuovo ministro è un tecnico competente, ma Berlusconi non ci ha ancora spiegato per quale politica economica è stato scelto. Cioè, in parole povere, cosa aspetta gli italiani nei prossimi mesi? Nel 2004 l´impegno del premier davanti all´Ecofin è una manovra da 7,5 miliardi di euro. Nel 2005 bisognerà rastrellare altri 20 miliardi. In anno e mezzo il governo si appresta a chiedere ai cittadini 55 mila miliardi di vecchie lire e se aggiungiamo
l´insensata riforma fiscale servono altri 10 miliardi di euro. Dove intendono prendere questi soldi? È una politica che ha tutta l´aria di una stangata, di un salasso. Finora abbiamo capito che vogliono tagliare i servizi ai cittadini sottraendo fondi agli enti locali, che vogliono colpire le imprese e che si preparano a limitare ancora gli stanziamenti al Mezzogiorno. In più abbiamo una maggioranza divisa su tutto, dalla Rai, all´immigrazione, al federalismo, alle pensioni. Hanno lacerato il Paese e ora il Paese rischia, con un governo debole perché diviso. Ecco, noi partiamo da qui».
Per lei la partenza del centrosinistra è buona. Ma la lista viene messa in discussione, il programma non c´è e il leader non appare fortissimo.
«Andiamo con ordine. Dicevo degli elementi di novità che ci rendono più credibili. Alle ultime elezioni abbiamo registrato un cambio netto degli orientamenti degli elettori. Governiamo 70 province su 103, ma il rovesciamento non è solo questione di cifre, si sono ribaltate le condizioni delle due alleanze. Il Polo, tre anni fa, era, o meglio si presentava, come una coalizione unita, con un baricentro solido riconoscibile in Forza Italia e un leader carismatico. Noi invece eravamo frantumati, senza una forza-guida e senza un leader. Oggi è vero esattamente il contrario. Il centrodestra è diviso, Forza Italia ha perso 4 milioni di voti e Berlusconi è un leader in difficoltà. Invece il centrosinistra comincia ad offrire un´immagine più unita, con il listone comincia ad avere un baricentro e con il prossimo arrivo di Prodi si prepara ad avere un leader. Che la strada sia quella giusta lo dicono le elezioni dove abbiamo fatto due scelte premiate dal voto. Alle amministrative ci siamo presentati con un centrosinistra largo e unito e un candidato unico dappertutto, da Milano a Bari. Alle Europee abbiamo avviato la costruzione della lista unitaria, lista che non vuole rappresentare tutti, ma si propone di dare una guida forte e solida alla coalizione, che disegni un profilo riformista chiaro e gli dia un leader. I risultati dimostrano che le due scelte sono complementari, si tengono. L´85 per cento degli elettori considera giusta la via della lista, il 90 per cento dei militanti di Ds e Margherita ci sollecita ad andare avanti sapendo che Uniti nell´Ulivo dà una maggiore credibilità».
Manca un programma che tenga insieme tutte queste cose.
«Adesso, per costruire l´alleanza larga di governo abbiamo bisogno di una piattaforma. Alla direzione dei Ds ho raccolto la proposta di Ruffolo di una convenzione per il programma sul modello della Convenzione europea. Quindi, una sede permanente, aperta, divisa per sessioni. Entro tempi certi la convenzione dovrà consegnare le sue proposte mettendoci così nelle condizioni di dire agli italiani che Paese vogliamo. Allo stesso tempo è necessario far decollare la federazione dell´Ulivo, un soggetto politico di tipo federato. È la formula più giusta perché impegna i partiti senza costringerli a sciogliersi e perché consente la partecipazione di altre forze. Le faccio un esempio: alle ultime elezioni le liste dei sindaci hanno preso, su base nazionale, il 4 per cento con il picco del 18 di Emiliano a Bari. Bene, la forma federata è il modo di coinvolgere anche loro».
Il modello è quello dell´unità sindacale Cgil, Cisl e Uil, come dice Rutelli?
«Il problema non è il modello, ce ne potrebbero essere anche altri… L´importante è costruire un´iniziativa comune. Un primo passo lo abbiamo fatto sull´Iraq. Bisognava esprimere tre voti e anziché fare tre dichiarazioni su ciascun voto, abbiamo scelto dei rappresentanti che hanno parlato a nome di tutti. Questo non ha comportato lo scioglimento dei gruppi».
Quasi 80 senatori della lista però chiedono di riconoscere solo l´assemblea di Uniti nell´Ulivo come unica sede di decisione.
«Non imbarchiamoci in discorsi d´ingegneria istituzionale a tavolino. La democrazia e la politica sono organizzate attraverso i partiti in tutto il mondo e chi pensa che da un giorno all´altro si possano sciogliere le forze politiche e le culture che rappresentano, è condannato alla velleità. Con la federazione, noi vogliamo costruire un soggetto che non annulla nessuno ma si dà le forme organizzative per lavorare insieme e per realizzare un progetto comune. La Ue, in cui l´Unione con il suo ambito di competenze convive con gli Stati nazionali, può essere il modello».
Parliamo di leader. Diamanti osserva che il gradimento del 20 per cento a Prodi è un dato basso. E che in generale il centrosinistra non ha «capi» predestinati. È il segno di una classe dirigente appannata?
«In quel sondaggio io non vedo un appannamento, ma la possibilità, per l´Ulivo, di avere un leader, che è Prodi, e una squadra. Proprio ciò che la destra non può fare, non a caso si affida sempre agli interim. Loro hanno un uomo solo al comando, noi no. Nell´elettorato di centrosinistra il leader non viene concepito come un monarca. Il centrosinistra non può e non vuole avere un Berlusconi e noi abbiamo sbagliato, in passato, a pensare di poter imitare quell´esperienza. Detto questo, la ricerca ci dice che, accanto a Prodi, esiste una leadership collegiale. E ci ricorda che Prodi non è ancora completamente sulla scena. Quando il primo novembre non sarà più impegnato con la commissione e tornerà in Italia, quel dato crescerà sicuramente»
Il 60 per cento degli elettori chiede di partecipare sempre di più, anche con le primarie.
«È una regola che abbiamo sperimentato in alcuni comuni e province in queste elezioni e che dovremo estendere sempre di più. Ma voglio osservare che a destra non si pone neanche il problema. In Forza Italia, persino i dirigenti regionali non vengono scelti in maniera democratica. Li seleziona il capo, punto e basta».
Con una leadership «plurale» è importante avere un programma unico. Anche nell´Ulivo, invece, molti vi accusano di pensare soprattutto agli organigrammi.
«Le due cose stanno insieme. Il programma e chi lo deve realizzare marciano di pari passo. Nessuna piattaforma è credibile se non dici chi la realizza e nessuno schieramento è affidabile se non spiega che cosa vuole fare. Il soggetto e il progetto stanno insieme e la prova l´abbiamo avuta alle amministrative, il tipo di elezioni più simile alle politiche, dove c´è un leader e un´alleanza. A Milano, il principale merito di Penati è stato quello di rappresentare un centrosinistra largo sulla base di un programma credibile. La parola chiave è complementarietà, cioè tenere insieme programma e schieramento. E nello stesso momento avere una guida riformista forte in un´alleanza larga».