«Si, sono andato al Forex di Cagliari. Come perdere l’occasione di ascoltare
direttamente l’intervento di esordio di Mario Draghi da governatore? Ci
sono andato, dunque, da persona attenta allo svolgimento delle vicende
di politica economica ma anche per dovere di ospitalità visto che
Draghi debuttava nella mia Sardegna».
Nel parlare del
neo-governatore Arturo Parisi è attentissimo a modulare le parole. Non
vuole passare per chi tenta di «arruolare» la Banca d’Italia
nell’Unione per di più a ridosso dell’apertura della campagna
elettorale che lo vede capolista dell’Ulivo, appunto, in Sardegna.
«Con
Draghi c’è un’antica conoscenza. Quando ero sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio lui era direttore generale al Tesoro. C’è
stato quindi un periodo importante della nostra vita in cui siamo stati
uniti da un’obiettivo storico come fu certamente l’ingresso nell’euro.
Draghi era allora a palazzo Chigi quasi quotidianamente».
Che ne pensa dell’intervento del governatore al Forex?
«Ne
ho condiviso lo spirito ma anche gli accenti con i quali ha affrontato
le singole questioni. Ma non mi considero da questo punto di vista
un’eccezione, visto che la platea era accomunata da un apprezzamento
unanime».
Eppure c’è una corrente di pensiero, che attraversa la politica ma anche il mondo delle banche, nostalgica di Fazio.
«E’
evidente che davanti ai processi di globalizzazione e
internazionalizzazione sono presenti da sempre due orientamenti opposti
che dividono visibilmente il Paese. Da una parte sta l’illusione di
potersi rinchiudere in ambiti protetti, dall’altra la consapevolezza
che non esiste alternativa all’accettazione della sfida. E poi ci sono
le provocazioni esterne che non possono non alimentare le tentazioni
protezionistiche».
Quindi lei non si unisce a quanti ci chiedono di “copiare la Francia”?
«Assolutamente,
no. Se le bugie hanno le gambe corte, le gambe del protezionismo sono
cortissime. Non ci può essere sempre papà, si chiami Fazio o
altrimenti, a impedire l’arrivo degli stranieri. Per reggere il
confronto l’unica strada è liberare le forze vive che sono nella
società. Penso che lo spirito della svolta di Draghi sia questo.
Soprattutto perché, come ha detto il governatore, il tempo per risanare
il Paese si è fatto breve: i dati della realtà lo dimostrano duramente.
Il declino non è
ineluttabile ma se lo spazio per invertire la rotta prima si contava in anni, oggi si misura in mesi».
Draghi è stato severo anche con le banche. Le ha invitate a non sprecare il risparmio, principale risorsa nazionale.
«Ha ragione e aggiungo che anche da questo punto di vista la politica è in ritardo nei processi economici».
Lei pensa che la politica debba intervenire di più?
«Tutt’altro.
I verbi che ci possiamo permettere sono al massimo “accompagnare”,
“incoraggiare”. Già la parola “regia” è troppo impegnativa. Il ruolo
della politica deve essere leggero, evitare nuove commistioni con
l’economia. I livelli devono restare distinti. La politica, le distinte
authority e gli attori economici hanno ruoli diversi ed è bene che
rimangano tali».
C’è un legame tra il suo no a nuove commistioni e la battaglia che conduce per la nascita del Partito Democratico?
«Il
legame sta nella concezione pluralistica dei diversi poteri che
definiscono il sistema politico: il riferimento è alla lezione di
Cattaneo che continua a ricordarci che la libertà è una pianta di molte
radici».