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9 Gennaio 2008

Emergenza rifiuti, Ronchi: la vera storia

Autore: Edo Ronchi
Fonte: L'Unità

Dall’aprile
’96 all’aprile 2000 come ministro dell’Ambiente, collaborai con i
presidenti della Regione Campania, prima Antonio Rastrelli e poi,
dall’inizio del 1999, con Andrea Losco, nelle iniziative per la
gestione dell’emergenza rifiuti, in atto dal 1994. Il primo piano
regionale di gestione dei rifiuti campani fu elaborato dal
presidente-Commissario Rastrelli, pubblicato nel luglio del 1997.
Ricordo che era appena stato pubblicato anche il Decreto legislativo
n.22, la riforma dei rifiuti.

E ricordo che il piano regionale
campano, il cui iter era durato quasi due anni, in alcuni punti non era
coerente con la riforma della gestione dei rifiuti appena avviata (in
particolare sottovalutava il peso della raccolta differenziata e
prevedeva un numero troppo elevato di ambiti territoriali ottimali).
Ritenni, tuttavia, quel piano un passo avanti perché proponeva un
progetto di gestione dei rifiuti della Regione e, data l’emergenza in
corso, mi pareva prioritario sostenere quel primo passo e, poi, cercare
di migliorarlo.

Sulla base di quel piano, i
Presidenti-Commissari, prima Rastrelli e poi Losco, elaborarono un
progetto di gestione e di impianti che fu messo a gara e si concluse
con contratti per la realizzazione e la gestione degli impianti,
firmati nel giugno del 2000 e nel settembre del 2001, quando io non ero
più al ministero dell’Ambiente.
Quel piano prevedeva sette impianti
di produzione di CDR (combustibile derivato da rifiuti) e di frazione
organica stabilizzata (un po’ sovradimensionati perché avevano una
capacità di pretrattare circa il 90% del rifiuto prodotto, considerando
quindi molto bassa la raccolta differenziata) e due inceneritori per
bruciare, con recupero energetico, di circa 1,1 milioni di tonnellate
di CDR (corrispondente a circa il 40% del rifiuto prodotto).

La
scelta di pretrattare i rifiuti e di recuperare energia dal CDR non era
un’invenzione campana, ma una possibilità prevista dalla normativa
italiana e praticata anche in altri Paesi europei.

Bruciando
rifiuti urbani tal quali, non pretrattati e non preselezionati,
aumenta, infatti, il rischio di avere negli inceneritori pile,
apparecchiature elettroniche, barattoli con residui di vernici ed altri
oggetti che possono comportare particolari emissioni pericolose e che
richiedono attenzione e tecnologie per essere abbattute: producendo CDR
a norma tali presenze vanno sostanzialmente eliminate.

Il
rifiuto tal quale, inoltre, presenta un grado di umidità elevato e
variabile: ciò riduce il suo potere calorico, ma aumenta anche i rischi
di abbassamenti di temperature, o le difficoltà a mantenerle costanti
ed elevate; l’abbassamento, non controllato, delle temperature nel
forno di combustione può favorire la formazione di diossine.

In
una Regione dove risultava particolarmente difficoltoso collocare
impianti di incenerimento, ritenni positiva la scelta di puntare sul
CDR che poteva essere bruciato con minori rischi ambientali e, se di
buona qualità, essere, almeno in parte, bruciato, oltre che negli
inceneritori dedicati, anche in centrali termoelettriche e nei
cementifici.
Il fatto che le «ecoballe» prodotte dagli impianti
campani siano risultate, per deficienze gestionali e impiantistiche,
non conformi alle caratteristiche che dovrebbe avere un buon CDR,
significa che non si doveva puntare su tale pretrattamento? Non credo
proprio: quegli impianti vanno sistemati e anche in Campania si deve
fare un buon CDR.

Il problema delle «ecoballe» non smaltite e
accumulate in siti provvisori non dipende dalla decisione di fare del
CDR, ma dal ritardo nella costruzione degli impianti di utilizzo:
dell’impianto di Acerra (dopo 7 anni dalla decisione, ancora è in
costruzione, quando il tempo medio per costruire un inceneritore è
intorno ai tre anni!), e dalla mancata costruzione di un altro impianto
di incenerimento (o di due più piccoli come sarebbe preferibile, per
ragioni funzionali) per completare il ciclo, e dalla cattiva qualità di
quel CDR, che ha finora impedito il suo, anche parziale, utilizzo fuori
regione e in impianti non dedicati. A un certo punto, visto che non si
riusciva a utilizzarle, chi aveva la responsabilità per prendere tale
decisione, avrebbe potuto anche sospendere la produzione di «ecoballe»,
fino all’apertura dell’impianto di Acerra. Ho l’impressione che non
l’abbia fatto perché smaltire i rifiuti urbani tal quali, non come
«ecoballe» stoccabili in depositi provvisori, sarebbe stato ancora più
difficile, data la carenza di discariche.

Ma mentre si fanno gli
impianti e si rafforza la raccolta differenziata, occorre non lasciare,
in nessun caso, i rifiuti per strada. In quei quattro anni, ricordo,
che quella fu la prima preoccupazione: trovare siti, allestire
discariche pubbliche per evitare le infiltrazioni camorriste, trovare
siti provvisori per lo stoccaggio ecc. Da questo punto di vista, non so
se per buona sorte o per l’impegno di molti, in quei quattro anni non
vi furono rifiuti abbandonati per le strade campane. Questa è la
priorità, per la salute dei cittadini e per l’ambiente, anche di questi
giorni: trovare, allestire e rendere agibili discariche sufficienti per
liberare le strade e tenerle libere dai rifiuti, mentre ci si dà da
fare per aumentare la raccolta differenziata, e per migliorare e
completare gli impianti.