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31 Marzo 2005

E Maurizio si scusa per le sedie vuote

Autore: Aldo Cazzullo
Fonte: Corriere della Sera

FIRENZE – La Signora di Lourdes si manifestò per la prima volta nella vita di Maurizio Scelli in una notte del 1977. «Avevo sedici anni. Giocavo a calcio a Sulmona, in Abruzzo, nella squadra della mia città. Ero una promessa, c’erano società di serie A che mi tenevano d’occhio. Ma un giorno presi un calcio violentissimo alla bocca dello stomaco. Trauma al fegato e al pancreas». La sera, in ospedale, la mamma di Scelli si affidò alla Madonna di Lourdes. «Mi ripresi, ma non potei più giocare».

La Vergine si rifece viva nell’estate del 1983. «Mia madre voleva andare a Lourdes, in treno. Mi chiese di accompagnarla: devi ringraziare Colei che ti ha salvato, disse. Rifiutai. Sei giorni tra malati, messe, preghiere… allora la mamma ricorse a un dolce ricatto: se non vieni a Lourdes, niente ferie al mare. Andai, e fu una folgorazione».

Ieri la Vergine era invece inspiegabilmente assente. Semivuoto il Palasport di Firenze, età media altina per un movimento il cui nome oscilla tra Forza ragazzi, Onda azzurra e «Italia di nuovo» (quello definitivo è il terzo). Per fortuna alla fine è apparso Berlusconi, il sorriso dentato a mascherare una certa irritazione.

Il premier arriva in prefettura alle 3 del pomeriggio. Scelli attende i primi pullman. «Berlusconi e Letta li ho conosciuti nel 2000, in casa di amici comuni. Mi proposero una candidatura alla Camera, a Roma. Accettai. Mi pareva inevitabile vincere, con tutto quello che avevo fatto all’Unitalsi, l’Unione volontari trasporto ammalati: non solo pellegrinaggi a Lourdes, ma crociere, viaggi in Terrasanta, week-end a Disneyland per i bambini malati. Fui sconfitto da Walter Tocci dei Ds. Rimasi incredulo. Distrutto».

La stima dell’abruzzese Letta non venne meno: commissario alla Croce Rossa. «Il battesimo del fuoco fu il terremoto del Molise. Lì, tra le macerie della scuola distrutta, capirono che non ero un politico ma un uomo d’azione. Poi, l’11 maggio 2003, arrivai a Bagdad. Appena messo in piedi l’ospedale da campo, vidi morire davanti ai miei occhi tre bambini, a distanza di mezz’ora l’uno dall’altro. Compresi allora che ero lì perché Qualcuno da lassù mi ci aveva mandato».

Quaggiù non si vede ancora quasi nessuno. Qui nel novembre 2002 Gino Strada, accolti con simpatia i giornalisti – «Penne in vendita! Padron comanda, asino trotta!» -, aveva infiammato pacifisti e noglobal: «Se un governo, di destra o di sinistra, porterà l’Italia in guerra, si troverà di fronte un’opposizione sociale di cui non si immagina neanche la portata. Chiameremo gli italiani alla mobilitazione!». L’indomani sfilarono in 600 mila.

Oggi Berlusconi è in attesa in prefettura ormai da tre ore sempre più nervoso e – si assicura – i pullman dei volontari sono bloccati sull’Autosole al casello di Incisa. C’è però l’ex ostaggio Maurizio Agliana: «Sono qui per ringraziare Scelli che ha rischiato la vita per me. Gino Strada Se era per lui…».

Scelli passeggia nervosamente tra le sedie vuote tipo padre fuori dalla sala parto: «Io non ce l’ho con i pacifisti. Mi limito a dire: manifestare non basta; andate in Iraq a vedere come sono accolti gli italiani. L’unica polemica l’ho avuta proprio con Gino Strada, per istinto di sopravvivenza».

Sopravvivenza «Ha rischiato di farci ammazzare. Ma come: noi ci presentiamo come Croce Rossa, spieghiamo che non c’entriamo nulla con il governo, promettiamo aiuti umanitari, e quello parla di un riscatto da dieci milioni di euro… Ho dovuto replicargli». Parlò di «sciacallaggio», disse che Strada «era scappato dall’Iraq al primo scoppio di mortaretti, rifugiandosi allo Sheraton di Amman». «Sì, queste cose qui. Ma fu legittima difesa».

Per ingannare il tempo, il video della liberazione delle due Simone. Scelli ne ha raccontato i retroscena nel libro di un altro abruzzese, Vespa. Qui a Firenze ha portato come testimonial Nawar, l’iracheno che l’accompagnava. Seguono Alexia, Manuela Di Centa, Luisa Corna, il cantante Paolo Belli che si dichiara di sinistra e invita Scelli a resistere ai corteggiamenti berlusconiani.

Risposta letteraria tipo poeta del medioevo arabo: «Tu mi dai la carica che mi servirà per guardarmi tutte le mattine nello specchio come se fossero i tuoi occhi, affinché tu non debba abbassarli mai».

Video di terroristi: treni distrutti, cadaveri, macerie; doveva introdurre Mambro e Fioravanti, anche loro assenti. «Le polemiche hanno spaventato molti dei nostri giovani – spiega Scelli -. Ma io non ho paura. Non ho avuto paura dei terroristi che mi hanno fatto prigioniero per sette ore, figuratevi se mi spaventano le polemiche!

Qualcuno non voleva che ci riunissimo. Ora vorrebbero chiedessi scusa alle veline, a Costantino, ai ragazzi del Grande Fratello. Perché mai Resto convinto che i valori dei giovani siano altri, che non ci sarebbe stato nulla di male nell’ascoltare due terroristi pentiti ammettere la loro sconfitta per puntare tutti insieme a una vittoria futura».

Berlusconi attende in prefettura ormai da quasi cinque ore. È lui che finanzia la nuova associazione «No. E neppure la Croce Rossa, che ho lasciato. È una fondazione. Si chiama Kefa, in greco vuol dire Pietra».

Gli animatori lanciano un appello al pubblico: «C’è qui qualche giovane volontario». Se c’è, è timido. Si stendono teli neri per coprire le file vuote. Qualche pullman arriva per davvero, alla fine saranno un migliaio ad applaudire Berlusconi fermo ad ascoltare Laura Piarulli, la volontaria in carrozzina che riceve la maglietta indossata da Scelli a Falluja.

«Che bella ragazza, che bel mondo il volontariato» mormora il premier. Ecco finalmente l’incontro con i giovani, la prima domanda dura un quarto d’ora, Berlusconi è furibondo, la seconda la porge un signore di quarant’anni calvo, il Cavaliere gli offre l’indirizzo per il trapianto. Scelli gli dice solo: «Mi scusi se l’ho messa in imbarazzo». Lui sorride: «Non ti devi scusare». Dopo faranno i conti.