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29 Settembre 2006

Due amnesie e vecchi modelli

Autore: Dario Di Vico
Fonte: il Corriere della Sera

Per dovere di cronaca le cose scomode van dette subito. Nella ricostruzione della vicenda Telecom ieri Romano Prodi ha sorvolato su due episodi. Ha dimenticato di ricordare come l’8 settembre Palazzo Chigi avesse emesso un comunicato per smentire Il Messaggero, reo di aver attribuito al governo un intervento teso a stoppare la vendita Tim. E quindi di un possibile scorporo del gruppo Telecom era informato, perlomeno indirettamente. E poi il premier ha tralasciato di menzionare la nota diffusa, sempre dalla casa del governo, il 13 settembre in cui ricostruendo gli incontri con Marco Tronchetti Provera si rivelava, con una certa dose di imprudenza, che Telecom aveva trattative in corso con Time Warner e General Electric.

Al netto delle amnesie, l’intervento del premier ieri a Montecitorio ha segnato un passaggio importante della giovane vita di questa legislatura tanto che un giorno finiremo per ringraziare Angelo Rovati. Oportet ut scandala eveniant, è stato utile che attorno al piano «artigianale» di pubblicizzazione della rete Telecom sia nato un pandemonio e che si sia arrivati al dibattito parlamentare. Mentre Oliviero Diliberto, la cui esperienza è più convincente in materia di comunismo che di capitalismo, continua a invocare che «sia la politica a guidare le nostre aziende nei settori strategici» e mentre altri esponenti della sinistra telefonica hanno fatto del piano Rovati il loro libretto rosso, Prodi ha indicato una strada alternativa. «L’interesse pubblico – ha scandito – sarà assicurato non dalla proprietà ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti».

Alle parole seguiranno i fatti? Speriamo. La verità è che dopo la vittoria elettorale è andato crescendo negli orientamenti di settori del centrosinistra – che pure avevano criticato per 5 anni Giulio Tremonti – un rinnovato colbertismo, un’irresistibile voglia di Stato che in nome dell’interesse pubblico prima ha accarezzato l’idea di accorpare Eni-Enel e poi con l’intervento decisivo di Antonio Di Pietro ha bloccato la fusione Autostrade- Abertis. Subito dopo, la nouvelle vague statalista ha messo gli occhi sulla Cassa Depositi e Prestiti con l’intento di rigenerarla e trasformarla nell’ Iri del terzo millennio. E quale migliore occasione della crisi Telecom per varare un’operazione-pilota che portasse al controllo pubblico della rete? È questa sequenza di avvenimenti che spiega il favore che il piano Rovati ha incontrato dentro la coalizione. Ma con il discorso di ieri il premier sembra aver spiazzato i nuovi colbertisti: «Questo modello (l’Iri, ndr) il Paese lo ha abbandonato a partire dai primi anni Novanta e non sarà certamente il governo di centrosinistra da me presieduto a tornare indietro». E a riprova del suo distacco critico Prodi, quando ha nominato la Cassa, lo ha fatto per imputarne il revival al governo Berlusconi.

In un passaggio, però, il premier è sembrato scartare dalla linea che si era imposto. Quando concedendo qualcosa di troppo a un refrain in voga in queste settimane ha parlato della necessità di «riformare il capitalismo». Avesse aggiunto che tale obiettivo un governo che tiene alla libertà economica lo persegue innanzitutto aumentando la concorrenza, avrebbe dissolto un potenziale equivoco. L’idea che un esecutivo, anche se guidato da uno stimato economista industriale, debba sostituirsi ai capitalisti nelle scelte produttive delle loro aziende è perniciosa. Molto meglio lavorare sulle regole, rafforzare l’autonomia del sistema delle authority, garantire la concorrenza in tutti i mercati. Compreso quello dei capitali.